Alain Resnais alla veneranda età di 88 anni continua a divertirsi dietro la macchina da presa. Lo dimostra la sua ultima fatica “Les Herbes Folles”, tradotto come sempre malamente in italiano con il titolo “Gli amori folli”, una tragicommedia che rispecchia, si spera solo in parte, quella che è la società dei nostri giorni. Sono lontani i tempi di “Hiroshima Mon Amour”, ma il regista francese non ha certamente perso smalto, ripuntando ancora una volta sulla accoppiata vincente lui-lei, scegliendo due attori con cui ha avuto modo di lavorare in passato: Sabine Azema (“Parole, parole parole”, “Mélo”, “L’amour à la mort”) e Andrè Dussolier (“Parole, parole parole”, “L’amour à la mort”). Partendo dal romanzo “L’incident” di Christian Gailly, la pellicola narra la storia di Georges che ritrova per caso il portafoglio di Marguerite. L’uomo comincia a perseguitare la donna, importunandola a distanza, con lettere e telefonate. I protagonisti, i personaggi secondari, le azioni, le vicende, i dialoghi, le situazioni, tutto è irragionevole in questo film, come l’erba, la malerba, che cresce nei posti più assurdi, dove nessuno si aspetta, come le crepe di una strada trafficata o in alto su di un tetto di una casa abbandonata. Così si sintetizza il senso filosofico de “Gli amori folli” e forse anche la visione della vita di questo Resnais scanzonato, ma mai (come del resto ci ha abituato) superficiale. Aleggia il mistero del passato e l’incertezza del futuro, raccontati attraverso splendidi dialoghi e i lunghissimi monologhi interiori di Georges, che investono la scena in qualsiasi momento. Una pellicola per chi ama usare l’immaginazione e per chi ha la consapevolezza che per vivere in questi tempi di incertezza bisogna essere semplicemente pazzi. Da sottolineare le trovate geniali a livello di regia: come ad esempio delle zoommate secche, poco utilizzate nel cinema moderno, sul viso dei personaggi o lunghi piano-sequenza seguiti dall’alto, dall’occhio di un dio. C’è anche il tempo per citare molti film che hanno fatto la storia del cinema: quel bacio in un hanger quasi alla fine vi ricorderà sicuramente qualcosa. Questa volta il maestro Alain Resnais gioca, si diverte e non rinuncia alla sua poetica surreale con un finale dal non sense dolce-amaro. Che il regista ormai nel pieno della maturità si sia reso conto di essere una (buona!) erbaccia?
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