martedì 9 novembre 2010

FRATELLI D'ITALIA: RECENSIONE


È il momento d’oro del domentario: “Fratelli d’Italia”, opera seconda di Claudio Giovannesi, si inserisce perfettamente in questo filone che ancora poco successo ha al botteghino italiano. Basti pensare alle sorti (drammatiche!) de “La bocca del lupo”osannato all’estero e sconosciuto ai più nel nostro paese. Purtroppo, ci si augura che questa bella e piacevole pellicola, che arriva direttamente da Ostia, non subisca la stessa triste sorte. Quello che ha realizzato con due telecamere Giovannesi è infatti un documentario su tre ragazzi, Alin, Masha e Nader, tre adolescenti che frequentano lo stesso Istituto Tecnico e che hanno in comune di essere immigrati, o meglio gli immigrati di seconda generazione, o meglio ancora italiani a tutti gli effetti. Questi giovani non hanno tanto problemi di integrazione con i loro coetani, come ci si potrebbe aspettare, ma vivono le contraddizioni dei loro 16 anni: Alin non riesce a comunicare con i suoi compagni e non sa che cosa sono le regole; Masha, ragazza adottata, si deve scontrare con il proprio passato; Nader “combatte” con i suoi genitori per vivere da “pischello” senza le troppe pressioni religiose dell’Islam. Quello che Giovannesi scopre attraverso le sue invadenti telecamere è che questi giovani sono dentro il tessuto sociale e che, più che una difficoltà, sono una ricchezza per la nostra stessa cultura italiana. Il paragone con la Palma d’Oro “La Classe Entre le Murs” di Laurent Cantet è inevitabile: anche se nel film di Giovannesi c’è più veridicità: gli attori non recitano, ma sono ripresi mentre vivono la loro vita. I tre capitoli della pellicola sono ben distinti e, non appena compare il nome del protagonista su sfondo nero a segnalare l’inizio di una nuova parte, non si può non pensare ad altri due film sugli adolescenti che si ispirano alla docu-fiction: “Ken Park” della coppia Larry Clark ed Edward Lacman e “Elephant” di Gus Van Sant. Raccontare il punto di vista di Alin, Masha e Nader, immigrati di seconda generazione, è un’ottima esperienza per capire che cosa provano e come agiscono, per ritrovare la normalità della vita quotidiana, in cui i ragazzi non badano molto a grandi temi come la discriminazione o l’integrazione, ma preferiscono correre senza assicurazione con il motorino, andare in discoteca, imbrattare i muri e baciare la ragazza. Due piccoli problemi sono l’audio e la fotografia, ma indubbiamente essere costretti a riprendere fatti che stanno accadendo hic et nunc non è per nulla semplice. Un documentario istruttivo, realizzato con pochi mezzi e gente comune, che dovrebbe essere distribuito, se non su tutto il territorio nazionale, quanto meno nel maggior numero di licei italiani. Da consigliare anche a buona parte dei giornalisti dei telegiornali e rotocalchi che ogni giorno identificano l’immigrato come “il Male”.

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