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mercoledì 2 gennaio 2013

LO HOBBIT: UN VIAGGIO INASPETTATO - RECENSIONE


Postata anche su Voto10... 

Chiunque abbia amato la trilogia de Il Signore degli Anelli, dopo l’ultimo film aveva un pensiero: vedere trasportato sul grande schermo anche quel romanzetto che è Lo Hobbit, prequel di una delle saghe letterarie più amate di tutti i tempi. Ci sono voluti 8 anni dall’uscita in sala del terzo capito del Signore degli Anelli per far sì che Peter Jackson potesse realizzare il sogno di girare anche le avventure del giovane Bilbo Baggins. Sì, perché Lo Hobbit, come molti sapranno, altro non è che il racconto di come Bilbo abbia aiutato i nani a riconquistare il loro territorio e di come, sempre questo hobbit, abbia ritrovato l’anello del potere.
Peter Jackson, che all’inizio voleva solo essere produttore del film, si è ritrovato nuovamente a dover immergersi nello scenario incantato della Terra di Mezzo, per far diventare immagini quello che è da molti considerato il più bel romanzo per ragazzi del secolo scorso. Romanzo per ragazzi, appunto! Chi infatti va a vedere Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato deve partire fondamentalmente da questa premessa, perché quando J.R.R. Tolkien decise di scrivere le avventure di Bilbo aveva il cuore più leggero rispetto all’epopea de Il Signore degli Anelli. Del resto anche la bibliografia tolkeniana subisce una esclation: se Lo Hobbit è un romanzo per ragazzi, il Signore degli Anelli è un romanzo per adulti, mentre il Silmarillon, essendo mitopoietica, è un “romanzo” per studiosi letterari ed appassionati di Tolkien.
A Peter Jackon è quindi toccato l’ingrato compito di girare Lo Hobbit dopo aver affascinato il mondo con Il Signore degli anelli e quindi era quasi inevitabile che, chi si attendeva la stessa epicità della trilogia, sia rimasto deluso. Eppure Peter Jackson ha compiuto davvero dei miracoli: 1) è riuscito a fare di un libriccino, altri tre film e 2) è riuscito a rendere omogenei questa nuova trilogia con quella passata. Ciò che fa Peter Jackon e la sua fortissima squadra di collaboratori è molto semplice: riportarci indietro all’inizio de La compagnia dell’Anello, quando Bilbo Baggins ci sta spiegando cosa sono gli Hobbit e da lì, senza soluzione di continuità, inizia il nuovo racconto, con rimandi più o meno espliciti a ciò che succederà nel futuro (che noi già conosciamo!).
Peter Jackson poi non si è accontentato. Nel momento in cui Guillermo Del Toro ha abbandonato il timone della regia, Jackson ha sì accettato con entusiasmo ma ha deciso di rischiare, provando e mostrando al mondo che esiste anche una nuova tecnica per girare un film a 48 fotogrammi al secondo, quindi velocizzando la classica visione cinematografica di due volte, dato che convenzionalmente un secondo equivale a 24 frame. L’inizio è spiazzante. Che cosa sto vedendo, si potrebbe pensare. L’occhio di qualsiasi spettatore non è abituato a tanta frenetica al cinema e quindi si rimane davvero intontiti e si ha desiderio di abbandonare la sala. Ma questa sensazione di disagio, tipica di quando ci si trova di fronte a qualcosa che non si è mai vista, sparisce subito, quando l’occhio si abitua e quello che resta dentro è la meraviglia, forse (e vogliamo esagerare!) la stessa meraviglia che hanno avuto i primi cine-spettatori dei fratelli Lumiere. Con i 48 fotogrammi al secondo il 3D, tanto amato in questi ultimi anni dai registi, cambia completamente veste: da scuro diventa finalmente luminoso e rende il racconto cinematografico ancora più reale, vicinissimo alla percezione dell'occhio umano. La genialità di Peter Jackson sta forse anche in questo, nel rendere reale ciò che in realtà reale non è, dato che siamo pur sempre di fronte ad un film fantasy, genere che senza la trilogia de Il Signore degli Anelli, forse oggi non avrebbe tutto questo spazio né al cinema né nelle serie televisive.
Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato è un esperimento, una novità che è perfettamente riuscito. Il racconto può subire dei bruschi rallentamenti in molte parti, ma in fin dei conti come possiamo giudicare un lavoro ancora incompleto? Già perché non ci dimentichiamo che questo non è altro che il primo capitolo di una nuova saga che si concluderà solamente nell’estate del 2014. Quello che è certo è che, come per Il Signore Degli Anelli, dopo la trilogia de Lo Hobbit, Hollywood non sarà più la stessa!


E lasciamoci così... con la canzone dei titoli di chiusura, cantata da Neil Finn dal titolo "The Song of Lonely Mountain": 



Concludo il tutto con la MINIRECENSIONE pubblicata anche sulla pagina facebook Mini Movie Review e sull'account Instagram sempre di Mini Movie Review:



mercoledì 1 agosto 2012

ANONYMOUS: RECENSIONE


Postato anche su Film4Life...

Roland Emmerich si mette dietro la macchina da presa e decide di raccontare un storia del XVI secolo, lasciando da parte per una volta gli effetti speciali, fatte di mostri e catastrofi naturali. Dopo “2012”, il regista ritorna nella sale con “Anonymous” in cui cerca di dare una nuova visione della storia sulla figura del drammaturgo più celebre di tutti i tempi, ovvero William Shakepspeare.

Il regista riporta a galla una antica teoria della letteratura del XX secolo, che vorrebbe che dietro il nome di Shakespeare, un semplice ed ignorante attore di teatro, ci fosse un ricco e nobiluomo della corte di Elisabetta I, cioè Edward de Vere, conte di Oxford. Partendo da questa suggestione, Emmerich ci accompagna all’interno della corte di Elisabetta tra intrighi e leggende di corte, che ricordano molto da vicino fil di successo come “Shakespeare in love” e i vari film sulla regina Elisabetta con protagonista la splendida Cate Blanchett. Con “Anonymous” si scopre un’alternativa alla storia che tutti sanno di William Shakespeare, una sorta di inganno che si sta protraendo ormai da secoli e che forse non sarà mai totalmente svelato e chiarito dalla storia.

Edward de Vere, conte di Oxford, era un poeta e un drammaturgo affermato alla corte della regina Elisabetta nell'Inghilterra del XVI secolo. Alcune teorie letterarie del XX secolo ritengono che sia lui in realtà l'autore dei lavori attribuiti a William Shakespeare. La pellicola, nonostante duri parecchio, oltre 130 minuti, scorre piacevole e senza troppi intoppi, grazie ad un’ottima sceneggiatura e alla bravura di tutti gli attori protagonisti scelti dal regista.  

martedì 9 novembre 2010

IL SIGNORE DEGLI ANELLI - LE DUE TORRI: RECENSIONE






Come dice Gollum all’inizio della pellicola: “L'Oscuro raduna tutti gli eserciti. Tra non molto, lui sarà pronto. Pronto a fare la sua guerra, l'ultima guerra, che ridurrà tutto il mondo nell'ombra”. Ecco in breve quello che accadrà ne “Il signore degli Anelli – Le due torri”. Infatti, se nel primo capitolo la preoccupazione di Peter Jackson è quella di chiarire ai non lettori di Tolkien qual’è l’universo nel quale si stanno addentrato, in “Il signore degli Anelli – Le due torri” le spiegazioni lasciano spazio all’azione vera e propria, con la prima strepitosa battaglia nella Terza Era della Terra di Mezzo: quella al fosso di Helm. Anche in questo adattamento del capolavoro tolkiano sono sempre presenti, come in tutta la trilogia del resto, i temi tanto cari al linguista di Bloemfontein. Sicuramente per quanto riguarda questo secondo lavoro, l’accento è posto sull’inizio della lotta tra il Bene e il Male, in un mondo che sta precipitando nelle fauci dell’industrializzazione, sotto la guida dell’avidità umana. I toni sono decisamente pessimistici e dark, rispetto alla prima opera; del resto come si può essere ottimisti in un mondo infettato dal germe della distruzione? Se Tolkien abbia poi una visione di destra o di sinistra agli amenti del cinema fortunatamente non deve interessare anche perché Jackson e la sua meravigliosa squadra compiono l’impresa di rendere ancora una volta e di più immortali le vicende della Terra di Mezzo, edulcorando da tutte le inutili speculazioni politiche. Un elemento fondamentale di questa “seconda puntata” è il montaggio, perché, rispetto a “La compagnia dell’anello”, si seguono più storie (Frodo e Sam diretti a Mordor; Merry e Pipino catturati dagli Orchi; Legosas, Gimli e Aragorn sulle tracce dei due piccoli Hobbit; Saruman e Re Theoden; ecc…), che avvengono in luoghi e situazioni diverse. Nonostante questa frammentazione (sicuramente già prevista a livello di sceneggiatura) la narrazione risulta sempre lineare e piacevole, e non stanca mai chi sta ammirando i meravigliosi paesaggi neozelandesi di Arda. La pellicola ha incassato 926.300.000 di dollari in tutto il mondo, di cui 20.546.529 di euro in Italia. Godetevi dunque anche questa avventura, magari gustando un po’ del vecchio Tobia, la miglior erba pipa del Decumano Sud.

ROBIN HOOD: RECENSIONE


Robin Hood!... Chi non conosce Robin Hood? La materia su cui lavorare per il terzetto Scott-Crowe-Blanchett era ardua e variegata e quello che hanno tirato fuori, da questo lunghissimo film, è la prima parte di vita di quello che poi sarebbe diventato il fuorilegge positivo più famoso del mondo. Del resto sir Robin Hood è uno dei personaggi più amati e abusati dal mondo del cinema e anche i più o meno illustri predecessori rendono scomodo qualsiasi paragone con questa nuova trasposizione. Si passa dal fascino tutto english di Sean Connery, per lo sguardo accattivante e terribilmente yankee di Kevin Costner, attraversando il baffetto sexy di Errol Flynn ed il caschetto castano di Michael Pread, citando le divertenti e demenziali avventure create da Mel Brooks, fino all’interpretazione del ladro gentiluomo di Douglas Fairbanks risalente addirittura al 1939 e per non farsi mancare nulla la mitica volpe dei cartoni animati dello zio Walt. L’obiettivo, non tanto celato, per quanto riguarda questo nuovo Robin (Cr)Hood è quello di svecchiare quanto meno il personaggio e anche di umanizzarlo. Già dal plot si capisce che non si tratta della solita pellicola sul fuorilegge, bensì su come Robin Longstride, un semplice arciere di sua maestà Riccardo Cuor di Leone, al ritorno dalle crociate si sia ritrovato improvvisamente Sir Robert di Loxely e poi successivamente Robin Hood. Questa pellicola in pratica finisce dove solitamente iniziano le altre. Non aspettatevi il motto “Rubo ai ricchi per dare ai poveri”, ma piuttosto un urlo di battaglia (simile a tutti i monologhi pre-guerra di tutti i film) che suona con un “ribellarsi e ribellarsi ancora, finché gli agnelli diventeranno leoni”. In questo caso infatti sir Ridley Scott avrebbe fatto meglio a intitolare il suo film “Robin… avant Hood” oppure “Robin Hood Begins”, giusto per non prendere in giro il pubblico. Nessuna pecca a livello di regia, che risulta perfettamente conforme al tipo di storia che si sta mostrando. Ad essere (e vogliamo esserlo) pignoli c’è da segnalare un ridimensionamento colossale di tutti i protagonisti consueti della vicenda: Little John, Fra’ Tuck, il cattivissimo sceriffo di Nottingham sono a malapena citati e raccontati e questo è un vero peccato! Certo, i temi non sono molto originali e anzi molto molto simili a quelli trattati ne “Il gladiatore”: l’eroe senza macchia che lotta per la libertà, ma è proprio quello che ogni spettatore chiede a un filmone epico come questo, che però non rinuncia ad un tocco vintage, per nulla scontato. Ad incantare inoltre c’è una stupenda signora del cinema, Cate Blanchett, che interpreta una Lady Marian ‘sprincipizzata’ e resa una vera donna del XII secolo, moglie di un proprietario terriero, più preoccupata del grano da seminare che dei gioielli da indossare. Una certezza: se dovesse andare splendidamente bene al botteghino, aspettatevi un sequel, perché ci sono tutti i motivi per farlo. Certo, forse senza il bel Russell, che è sempre più in là con gli anni.

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