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lunedì 9 dicembre 2013

LAS BRUJAS DE ZUGARRAMURDI: RECENSIONE

Postato anche su Four Magazine...


Álex de la Iglesia torna dietro la macchina da presa e arriva al Festival Internazionale del film di Roma 2013 con Las brujas de Zugarramurdi, presentato nella selezione ufficiale fuori concorso. Le attese, soprattutto quelle della critica, erano notevolmente alte, per il nuovo film del maestro spagnolo, considerato il successo ottenuto dal suo precedente lavoro, la Ballata dell’odio e dell’amore, che nel 2010 aveva piacevolmente sorpreso il festival di Venezia e il presidente della giuria di allora, Quentin Tarantino. Attese che non sono state deluse. Las brujas de Zugarramurdi è un film sorprendente sotto tutti i punti di vista e che rimarca, se mai ce ne fosse stato bisogno, lo spirito grottesco di de la Iglesia, che si diverte a girare un’opera che esaspera all’ennesima potenza le tematiche a lui più care.
La storia prende spunto dalla crisi economica, per poi sfociare nel fantasy e nella dark comedy, partendo da un semplice assunto volutamente misogino: tutte le donne sono delle streghe. La millenaria questione del rapporto e del conflitto tra i due sessi è alla base della narrazione, anche se questa volta, in modo del tutto originale e nemmeno troppo scontato, a fare la parte da leone sono le donne, maligne protagoniste e mangiatrici di uomini.
Il protagonista, Josè, è un uomo divorziato che non riesce ad arrivare a fine mese, dato che deve pagare gli alimenti alla moglie. Nel giorno in cui deve badare al suo bambino di otto anni, decide di improvvisarsi ladro e tentare una rapina in un negozio di Compro Oro, insieme ad altri uomini disperati. Travestiti da quelle statue umane che si vedono in tutte le città del mondo e con il figlioletto al seguito, l’uomo riesce a portare a termine il colpo e, con la polizia al loro inseguimento, oltre che l’ex moglie di Josè, insieme ad Antonio, unico socio non arrestato, e a uno sfortunato tassista, cerca di raggiungere il confine per trovare rifugio in Francia. L’arrivo nella mistica cittadina di Zugarramurdi cambierà però i suoi piani di fuga.
Magia e vita reale, amore e riti ancestrali si amalgamano in questo film che ha la sua forza proprio nel modo in cui riesce ad affrontare tematiche sociali forti, in un tripudio di ironia e sarcasmo. Il tutto è arricchito dagli splendidi dialoghi, dalla magistrale interpretazione di tutto il cast e da una serie di scene di azione che tengono sempre all’erta e viva l’attenzione dello spettatore.

mercoledì 1 agosto 2012

TERRAFERMA: RECENSIONE


Postato anche su Film4Life... 

Emanuele Crialese non è un regista che realizza molti film. Dal 1997, anno di “Once We Were Strangers”, al 2011, anno di “Terraferma”, il regista ha realizzato solo altri due film (“Respiro”, “Nuovo Mondo”). Esagerando, potremmo paragonarlo a due altri grandi registi, Terrence Malick e Quentin Tarantino (nonostante poetiche molto lontane le une dalle altre), cioè paragonarlo a quei registi che si mettono dietro la macchina da presa solo quando sono sicuri di poter portare sul grande schermo un progetto di ottima fattura. E con “Terraferma”, Crialese si conferma uno dei pochi registi italiani a sapere scandagliare l’animo della nostra società, con storie e personaggi che hanno una valenza universale; un po’ come fecero a loro tempo i neorealsti. Dopo essersi confrontato con il passato (anni ’70 e inizio Novecento), il lavoro, presentato stamattina in concorso al Festival del cinema di Venezia 2011, è ambientato ai nostri giorni e mette in scena una storia scomoda, politicamente parlando, per il nostro Paese: la drammatica realtà degli sbarchi dei clandestini sulle isolette del Mediterraneo e con gli abitanti di queste terre, così reitti nei confronti della “terra ferma”, impersonificata dalla autorità militare arrivata solo per rovinare le cose. Del resto l’unica legge che esiste in questi luoghi è quella del mare, che gli umili pescatori non possono che rispettare, agendo al di là di cioè che viene imposto dai palazzi romani.

Ancora una volta ritorna nel cinema di Crialese il mare, visto da chi parte come luogo di speranza, ma che a volte, troppo spesso negli ultimi anni, si trasforma in un luogo di morte. Il regista racconta con sguardo appassionato una storia di scelte: chi parte, chi resta. Racconta un mondo fatto di veri rapporti umani: famiglia di sangue o amicizie per la pelle. Il mondo di Terraferma è speranzoso e non si ferma davanti a niente, come un urlo disperato di chi non sa nuotare e si trova tra le onde, non sa cosa fare, ma non si dà per vinto.

Alla realtà banale del turista, che vuole prendere il sole in barca, esiste la realtà di chi la barca deve utilizzare per sopravvivere: pescatore o clandestino, che sia. In un perfetto contrappasso allegorico, si rincorrono queste due realtà che co-esistono in un medesimo ristretto angolo sperduto del mondo.

Questo film inoltre dà speranza anche a tutto il cinema italiano. Infatti, vedendo questi buoni progetti si ha l’illusione che anche nel nostro Paese si possano realizzare pellicole impegnate, che non cedano il passo all’imbecillità spicciola alla ricerca della comicità a tutti i costi, ma che con arguzia portino tutti a riflettere sulle drammatiche condizioni di alcune realtà che troppo spesso tutti tendiamo a dimenticare perché fin troppo scomode. 

mercoledì 9 febbraio 2011

JACKIE BROWN: RECENSIONE

Postato anche su Voto10... 

Jackie Brown è una hostess attraente che commercia illegalmente denaro per Ordell Robbie, un contrabbandiere d’armi. Ordell ha come socio Louis Gara, un frastornato ex galeotto, e Melanie, una bionda sballata e fra le nuvole. Jackie viene arrestata dopo un viaggio in Messico da due poliziotti del reparto antifrode sulle tracce di Ordell. In cambio della libertà si decide a collaborare con la polizia. Dotata di attrattiva e sangue freddo la signora Brown ingannerà agenti e malviventi, riscuotendo il denaro di Ordell e abbagliando con la sua avvenenza un garante di cauzioni. Questa è la trama del terzo film dell’ancora giovane Quentin Tarantino, “Jackie Brown”, datato 1997, il film più lineare del poliedrico regista. La pellicola ha il merito di far conoscere alle generazioni degli anni Novanta, un genere molto in voga circa venti anni prima: il Blaxploitation. Questo genere degli anni Settanta, assolutamente a basso costo e con attori e registi prevalentemente afro-americani, deriva dalla fuzione delle parole inglesi “black” (nero) ed “exploitation” (sfruttamento): infatti per molti anni gli stessi registi ed attori appartenenti a questo genere rifiutarono il termine perché considerato offensivo e razzista. Tarantino ovviamente nel 1997 dimostra al mondo quanto sia bravo nel realizzare un film di genere, affidando la parte di protagonista alla regina del Blaxploitation: Pam Grier. Attorno alla bravissima attrice ruota un cast anch’esso d’eccezione fatto da Robert Forster, Robert De Niro, Samuel L. Jackson, Michael Keaton e Bridget Fonda.“Jackie Brown” è un omaggio alla sceneggiatura, anche se, come detto, i fan più tarantiniani potrebbero accusare il regista di aver realizzato un’opera troppo semplice, sicuramente meno pulp de “Le iene” e “Pulp Fiction”. Eppure c’è tutto il meglio di Tarantino: dialoghi brillanti, regia fatta di lunghi piani-sequenza, e cambi continui del punto di vista dei vari personaggi.Insomma un altro cult da aggiungere alla propria filmografia, data l’ottima prova del sempre geniale regista di Knoxville.

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