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lunedì 23 maggio 2011

ANGELI PERDUTI: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life...

Gli angeli, del regista Wong Kar-wai, sono caduti dal cielo, ma in italiano, come sempre, si è preferito banalizzare il tutto con un bel “perduti”. E così il titolo “Fallen Angels” dell’inglese e il cinese 堕落天使 si trasforma in perduti per i traduttori italiani. Perduti dove? Per la splendida, calda e rigorosamente notturna città di Hong Kong, uno degli amori più grandi del regista cinese. 


Nell’angusta e cotica città si intrecciano due storie parallele: il rapporto tra il killer Ming e la sua partner Agent, innamorata dell’uomo, e le tragicomiche avventure di un muto che cerca disperatamente l’amore. La pellicola, per il modo in cui è strutturata, ricorda “Hong Kong Express”, soprattutto nei rimandi ai comportamenti dei personaggi dei due film. Effettivamente le storie di “Angeli perduti”, dovevano essere il terzo capitolo di “Hong Kong Express”, anche se poi il regista ha preferito ampliarle e renderle un’opera a sé, trasformando il tutto in un’antitetica versione del film precedente. 

Sfacciato, spudorato e sensuale, “Angeli perduti” trasuda pathos ed eros in ogni inquadratura, in ogni scena, realizzate attraverso un uso eccessivo del grandangolo, della camera a spalla e l’immancabile step-freming. 

Certo la bellezza del film non si limita solo alla parte tecnica. Il tema principale di fondo resta l’incomunicabilità: l’uomo moderno che non riesce a rapportarsi con i suoi simili, che non riesce a esprimere i propri sentimenti, nella solitudine della megalopoli. 

Siamo nel 1995 e Wong Kar-wai è ormai un autore maturo, con un suo stile inconfondibile e una poetica dei sentimenti umani, che in pochi sanno raccontare con la stessa delicatezza.

venerdì 6 maggio 2011

HONG KONG EXPRESS: RECENSIONE

Postato anche su Film4life...

Quarta pellicola di Wong Kar-wai, “Hong Kong Express” è la perla con la quale il cineasta cinese si presenta al mondo. Semisconosciuto fino al 1994, con questo film il regista si fa conoscere al grande pubblico d’Occidente, regalando al Cinema una summa della sua filosofia sull’uomo moderno, attraverso i topòi che hanno sempre accompagnato la sua filmografia. 



Questa pellicola nasce durante una lunga pausa delle riprese del travagliato “Ashes of Time" senza una sceneggiatura ben precisa e solo con l’ausilio di una semplice camera a spalla: anche perché quando un autore parla al cuore dei sentimenti umani non ha bisogno di utilizzare (inutili) effetti speciali. Eppure qualche tecnica per alienare i suoi personaggi, nella caotica, colorata al neon, sudata e lussureggiante Hong Kong, il regista la trova: ad esempio congelando i suoi protagonisti, lasciandoli soli ed immersi nei loro pensieri, mostrando un mondo che attorno a loro si muove in fretta, veloce, illogicamente. 

Come nel primo lavoro, “As tears go by”, le due storie, che si intrecciano in modo debole ma delicato, hanno come personaggi principali due poliziotti (Tony Leung e Takeshi Kaneshiro) e le loro possibili amanti (Faye Wong e Brigitte Lin), con l’amore, come unico fulcro comune delle due storie; amore appena consumato, che rimane un sogno da concludere e mai consumato fino in fondo. Ciò che riesce a creare il regista è una sensazione di malinconico dolore nella nevrosi cittadina, a cui i quattro personaggi non riescono a dare sfogo, se non nella loro intimità e con le loro maniacali abitudini. 

Grande importanza è data, come sempre, alla colonna sonora. Il desiderio di un sogno americano, che alla fine andrà deluso, sono affidate a California Dreamin’ dei Mamas & Papas, ma come in “Days of Being Wild” il regista riadatta le suggestioni occidentali, concedendosi una versione cinese di una canzone all’epoca popolarissima: Dream dei Cramberries, re-interpretata da Faye Wong. È superfluo elogiare la sempre perfetta fotografia di Christopher Doyle, qui affiancato da Keung Lau Wei. 

La passione per il finale aperto, a cui il regista ha abituato i suoi spettatori, è presente, ancora una volta a sottolineare l’indeterminatezza della condizione umana. Ma con questo film Wong Kar-wai si spinge oltre. Addirittura accenna in “Hong Kong Express” la storia che racconterà nel suo seguente film: “Angeli perduti”

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