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venerdì 31 gennaio 2014

A PROPOSITO DI DAVIS: RECENSIONE


Postato anche su Four Magazine... 

I fratelli Coen arricchiscono la loro filmografia con un nuovo film, sostanzialmente diverso da tutti i loro precedenti, dove però si può notare tranquillamente lo stile dei due fratelli di Minneapolis: Inside Llewyn Davis, vincitore già al Festival di Cannes del Gran Prix della giuria e che è stato presentato nella sezione Festa Mobile al 31 Torino Film Festival.
I Coen decidono di raccontare una loro passione, la musica folk, portando sul grande schermo la storia di un cantautore dei primi anni Settanta, mostrando le sue difficoltà per emergere e incidere finalmente il suo primo disco d’esordio da solista e descrivendo a loro modo un’intera epoca. Quella di Llewyn Davis, interpretato da Oscar Isaac, non è una vita facile, così come non era facile intraprendere un viaggio nella musica folk, che i Coen riescono qui a far risaltare in tutta la sua bellezza, che aiuta a rendere al meglio le atmosfere cupe (come l’animo del protagonista) e gli scenari notturni di una Manhattan ormai mitica e quasi sconosciuta ai nostri giorni, dove la gente ascoltava in religioso silenzio una canzone, suonata solo con l’ausilio di uno strumento. Ma i due registi raccontano proprio un modo di vivere la vita che ormai è andato perduto, quando a New York ci si poteva barcamenare, dormendo un giorno in un pavimento al Queens e il giorno dopo trovarsi in un comodo letto nell’Upper East Side.
I Coen però non deludono il proprio pubblico. il film non manca di sadismo e cattiveria, una nuova commedia cupa, in cui lo stile di regia e di scrittura è ben riconoscibili, sia nella scelta delle inquadrature quasi soffocanti e claustrofobiche, sempre in spazi strettissimi, dove i protagonisti a stento riescono a muoversi, o nei soliti brillanti dialoghi, saturi di frustrazioni e speranze. Il film inoltre si avvale di un cast di prim’ordine, basti solo pensare a Carey Mulligan, Garrett Hedlund e a Justin Timberlake, oltre alla straordinaria performance del protagonista Oscar Isaac che riesce a rendere al meglio il suo personaggio, colmo di disperazione, avvilito, demoralizzato, ma che, nonostante le continue disgrazie che i Coen mettono sulla sua strada, non rinuncia a vivere per ciò che crede essere il suo unico obiettivo nella vita. Si tratta di un film semplice, però potente, emozionante e coinvolgente che diventa grande cinema proprio grazie alla sua semplicità. È quasi impossibile non provare empatia per Llewyn, una sorta di reietto, che cerca la sua via e che sa di poter contare solo sul talento. Si possono trovare in lui, facilmente, tutti i tòpoi letterali dell’eroe buono, indurito dalla crudezza della realtà in cui vive. Se tutto ciò non bastasse, i Coen si avvalgono di una colonna sonora semplicemente sublime, dove ogni singola nota vibra e si imprime nell’anima dello spettatore.
Inside Llewyn Davis è una pellicola intima e privata, che è possibile definire matura: un atto d’amore nei confronti di una passione. Imperdibile e (fortunatamente) dal 20 febbraio 2014 uscirà anche in Italia.

giovedì 24 marzo 2011

NON LASCIARMI: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life... 

Portare sul grande schermo un romanzo a volte può risultare impossibile. Il caso lampante è “Non lasciarmi” di Mark Romanek, che nonostante gli attori, Keira Knightley, Carey Mulligan, Andrew Garfield, Charlotte Rampling e Sally Hawkins, non riesce a mostrare per immagini il meraviglioso e drammatico universo creato da Kazuo Ishiguro nel suo romanzo. 

La storia è molto interessante: si tratta di tre giovani ragazzi che hanno passato buona parte della loro vita in un istituto, che sono destinati nella loro vita ad essere donatori di organi; insomma una vita segnata fin dalla nascita, che finirà nel momento in cui i ragazzi non serviranno più. 

Leggendo la sinossi, ovviamente l’impressione è di stare per assistere ad una vicenda struggente, pieno di lacrime e di un inevitabile singhiozzo finale. Se vi aspettate tutto questo rimarrete profondamente delusi. La freddezza dei personaggi, frigidi nei loro sentimenti nelle loro modo di agire, lasciano lo spettatore di sasso. Non si può provare empatia per dei ventenni o dei bambini, che sanno che cosa li aspetta nel futuro (la morte!) e che non cercano di ribellarsi, ma solo un rinvio di qualche anno perché si amano. A che serve prolungare l’attesa di una fine comunque certa? Questa domanda purtroppo non trova risposta. 

La storia per assurdo è ben narrata e la fotografia è gelida come il cuore dei protagonisti, ma considerando che l’assunto di base non ha senso (un traffico di organi legalizzato dal governo di cui tutti i cittadini sono consapevoli), non si può che rimanere perplessi, di fronte a quest’opera. Possibile che una società possa accettare che si nasca per morire in modo così barbaro? Possibile che gli stessi donatori tutti accettino con serena rassegnazione cristiana il proprio destino? 

Si parla di decine di istituti e migliaia di persone nate con l’unico fine di servire alla ricerca medica, in u modo in cui non esistono più i tumori, la sclerosi multipla e le malattie genetiche solo grazie a questi donatori di organi: già fantascienza di per sé. Considerate poi che il racconto è retroattivo (ambientato tra gli anni ’80 e ‘90) e non riuscirete davvero a trovare un senso.

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