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mercoledì 26 gennaio 2011

I FANTASTICI VIAGGI DI GULLIVER 3D: RECENSIONE

Postato anche su Filmforlife... 

Rob Letterman e Jack Black tentano, insieme alla 20th Century Fox, un'impresa non indifferente: cercare di attualizzare il romanzo “I fantastici viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift. Per farlo, penseranno i cinefili più accaniti, hanno semplicemente aggiunto al titolo dell'omonima opera settecentesca la parola 3D e il gioco è fatto. Effettivamente ciò che lo spettatore si appresta a vedere al cinema non è molto più di quello che abbiamo scritto sopra, ovvero un tentativo, peraltro fallito, di portare Gulliver nel nuovo Millennio per poi spedirlo a Lilliput che, per qualche strano motivo, si trova nel triangolo delle Bermuda. Ma perché il tentativo è fallito? Semplice: perché Letterman e Black non sono la Disney (vedi “La principessa e il ranocchio” e “Rapunzel”) e, a parte qualche momento comico, il film non decolla mai e resta un'accozzaglia di situazioni semi-divertenti che dovrebbero far ridere e che forse faranno solo sorridere gli spettatori dal palato più rude. Era difficile rendere brutto il bellissimo romanzo fantastico di Swift, eppure Hollywood ce l'ha fatta, puntando tutto sul personaggio di Jack Black, che deve sollazzare a tutti i costi, e rinunciando ad una storia ben strutturata, come invece si dovrebbe sempre fare sul grande schermo. Come molti sanno, le avventure di Gulliver nel romanzo si svolgono in diversi luoghi esotici e magici: ovviamente nel film (e purtroppo non per ragioni di tempo) si predilige il più famoso, Lilliput. Si può trovare qualche elemento apprezzabile in mezzo a tutto questo “putridume” commerciale? Forse... peccato che però si rischierebbe di rovinare, con gli orrendi spoiler, le parti più piacevoli! Una sola annotazione: nello script ci sono delle reinterpretazioni di famose pellicole come “Titanic” e “Guerre stellari”, giusto per citarne qualcuna, e sono proposte note pubblicità con il volto del protagonista; imperdibile ad esempio, sullo sfondo di una scena, il faccione di Black sul fisico di Mark Wahlberg dei tempi che furono. Non aspettatevi un capolavoro nemmeno dal punto di vista della tecnologia: la terza dimensione è assolutamente inutile, se non per l'obiettivo primario di far lievitare il prezzo del biglietto. Insomma quasi certamente un'opera non memorabile e possibilmente da evitare!

lunedì 8 novembre 2010

LA PRINCIPESSA E IL RANOCCHIO: RECENSIONE



Negli anni ’90 non esisteva Natale senza un lungometraggio firmato Walt Disney. “La Principessa e il Ranocchio” catapulta lo spettatore indietro nel tempo e fa rivivere sul grande schermo la magia che lo stesso Walt Disney aveva inaugurato con “Biancaneve e i sette nani”. Questo film d’animazione segna quindi il ritorno ufficiale alle fiabe ed al fascino del disegno a mano. “La Principessa e il ranocchio” è un piccolo capolavoro animato: la miglior risposta che l’“obsoleta” mano dell’uomo potesse dare al 3D. La regia, affidata a due esperti del disegno, Ron Clements e John Musker, creatori de “La Sirenetta” (1989) e “Alladin” (1993), sotto l’occhio attento del guru della Pixar, John Lassent, compie il piccolo miracolo di rivalorizzare una tecnica, il 2D, che sembrava dovesse essere solo ricordata. Certo è che con questa pellicola si ritorna al passato anche per il genere che è stato scelto: il musical. Ci sono ben 7 brani inediti che scandiscono i momenti più importanti dell’azione. La colonna sonora affidata al pluripremiato compositore Randy Newman, è una mistura di sound diversi: dal jazz, al gospel, al blues e alla musica creola delle origini. Aggiungendo al tutto una sceneggiatura sempre ben calibrata e mai banale, che mescola il carisma dei personaggi, con situazioni umoristiche e momenti di grande commozione il risultato è eccellente. Il ritorno di Disney alle fiabe classiche non avviene semplicemente riadattando per il grande schermo “Il principe ranocchio” dei fratelli Grimm. Nella favola originale, infatti, una principessa bacia un brutto e viscido rospo che finisce per trasformarsi in un bellissimo principe e i due si sposano. Nella rivisitazione disneyana cambiano diverse cose. Siamo nel terzo millennio e la narrazione ha subito già delle svolte epocali. La storia non si svolge più in mitici palazzi medievali, con principesse e cavalieri, ma è ambientata nella caotica città del jazz, New Orleans, durante gli anni ‘20. Molti personaggi sono di colore e di colore è anche la splendida protagonista, Tiana, che a dispetto di quello che fa pensare il titolo, è una semplice cameriera, con un grande sogno nel cassetto: aprire un ristorante nella zona portuale della città. Non c’è nessuna principessa, dunque, ma c’è un principe: Naveen, un playboy fannullone, che è rimasto senza un soldo, perché i suoi genitori lo hanno diseredato. È il cattivo a dare il via all’azione vera e propria: l’astuto dottor Facilier, una summa dei malvagi disneyani (quasi inevitabile il raffronto con il longilineo Jafar di Alladin), che servendosi della sua persuasione e della voglia di riscatto di un grasso maggiordomo si servirà dei suoi incantesimi per trasformare il principe in un rospo. Ed è a questo punto che i destini dei due eroi s’incrociano. Ne “La principessa e il ranocchio” gli autori strizzano l’occhio anche nelle scene, nei disegni e nei simboli a classici come “Pinocchio”, “La Bella Addormentata”, o i più recenti “Alladin” ed “Hercules”, scritti e diretti entrambi dalla coppia Clements-Musker. L’animazione permette ai personaggi che si muovono sullo schermo di avere un calore che forse ancora non abbiamo ancora visto nelle storie in 3D con essere umani. Una pellicola che diventerà un classico, con personaggi che rimarranno nella storia del cinema.

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