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venerdì 31 agosto 2012

PARADIES GLAUBE ( PARADISE FAITH) – RECENSIONE


Dopo essere andato al Festival di Cannes con Paradies Love, il regista austriaco Ulrich Seidl ha presentato alla 69esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il secondo capitolo della trilogia sulle varie forme dell’amore, dal titolo Paradies Glaude (Paradise Faith). La terza opera, Paradies: Hoffnung (Paradise: Hope) per concludere il cerchio dei tre più importanti festival del mondo, sarà presentata alla prossima Berlinale (7 - 17 febbraio 2013). 

In questo secondo episodio il regista si concentra sull’amore/ossessione di una donna nei confronti della Chiesa Cattolica e dei suoi principi, seguiti con persistente fermezza. Anna Maria, tecnico radiologo, segue tutte le regole della religione cattolica con talmente tanta convinzione che si punisce ogni sera frustandosi per tutti i peccati davanti al crocifisso della sua camera da letto. La donna è totalmente presa da Gesù Cristo, il suo unico amore, tanto da volerlo far conoscere a tutto il mondo, andando di casa in casa con una statua della Madonna, nei momenti liberi dal lavoro, per cercare di convertire gli “infedeli”, ovvero gli immigrati che si sono trasferiti nella ormai ex cattolica Austria.

Paradies Glaube, nonostante si concentri su temi che possiamo considerare divini, dato che si parla di religione e spiritualità, rapporto tra le religioni e modo di vivere le religioni, rimane sempre legato ad un tema caro al regista: ovvero l’ossessione per il corpo. Certo è che ancora una volta Seidl non si concentra sui corpi perfetti dell’alta moda, ma porta sul grande schermo dei nudi sgraziati, brutti da vedere, quasi sempre ammalati e mai in piena salute. Sono corpi enormi, quasi mostruosi, che vogliono ancora di più riportare la narrazione solo a livello terreno, nonostante la protagonista sia letteralmente assillata dal cattolicesimo, tanto da arrivare a fare l’amore con il suo Gesù. Amore e sesso sono altri due ingredienti fondamentali del film; del resto la telecamera di Seidl riprende tutto senza inibizioni o censure, quindi non stupisce  nemmeno più di tanto un’orgia all’aria aperta a cui assiste l’integerrima Anna Maria.

L'opera però non convince in pieno, almeno rispetto al precedente lavoro. Quasi si potrebbe definire una pellicola sottotono, che stenta a decollare e quando lo fa per arrivare alla risoluzione sembra che ci si arrivi quasi troppo velocemente, senza che ci sia un reale motivo per cui il personaggio di Anna Maria alla fine si comporta in quel determinato modo. Pare incredibile, ma un film lento e di quasi due ore, forse avrebbe avuto bisogno di una scena in più per giustificare quella conclusione. Comunque rimane un lavoro interessante, che certamente convincerà i fan del regista, i quali ritroveranno anche in questo film i topoi della sua filmografia, mentre potrebbe non interessare a chi non ha mai visto nulla del regista austriaco.  

martedì 1 maggio 2012

KEEP THE LIGHTS ON: RECENSIONE


Keep the Lights on”, presentato ieri in concorso al 27 Torino GLBT Film Festival, è il film che ha vinto il premio Teddy Award, riservato alla miglior pellicola a tematica gay, alla Berlinale del 2012. Applaudito a Berlino, il film di Ira Sachs, con protagonisti Thure Lindhardt, già visto nel capolavoro “Brotherhood”, e Zachary Booth, presente ieri sera a Torino, racconta la storia di Erik e Paul, conosciutisi per caso in una linea telefonica erotica, che si concedono una notte di sesso sfrenato. Quella che però doveva essere solo l’avventura di una notte si trasforma immediatamente in una affinità che porterà i protagonisti a scontrarsi con le proprie ossessioni. Sì, perché Ira Sachs, già vincitore del Sundance nel 2005 con “Forty Shade of Blue”, questa volta indaga sull’ossessione degli esseri umani.

Prendendo come spunto un trentenne che sogna di fare il regista, facendosi finanziare i film dal papà, e un giovane editor di successo, il regista di “Keep the Light on” porta a galla tutte le manie dei protagonista, con uno sguardo impietoso e mai indulgente. I tormenti continui di Erik e Paul sono raccontanti in un arco di tempo molto lungo, in una New York prima dell’ 11 settembre 2001 (la storia comincia nel 1998) fino al 2006, con intervalli di tempo di circa due anni tra un episodio ed un altro. Tutti sembrano ossessionati: Erik è ossessionato da Paul, Paul è ossessionato dalla droga e la loro relazione all’inzio così stabile diventa sempre più incerta. Consapevoli di farsi del male a vicenda, il film racconta di come, nella società moderna, nessuno voglia essere felice, rifiutando la serenità anche quando le si presenti più volte davanti.

Tra le pecche del film si possono citare delle lunghissime e forse inutili sequenze che avrebbero certamente reso più snella e coinvolgente la narrazione. Sachs comunque riesce comunque a raccontare una storia moderna, di sesso, con sguardo lucido e disincantato. 

domenica 5 giugno 2011

LA POLVERE DEL TEMPO: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life...

C’è di tutto, anzi c’è troppo, nell’ultimo lavoro del mitico regista Greco Theo Angelopoulos, classe 1935. “La polvere del tempo”, che arriva nei cinema italiani due anni dopo essere stato presentato al festival di Berlino edizione 59 anno 2009, è un film drammatico che racconta volutamente il Novecento, attraverso un linguaggio e una regia che ormai appartengono al secolo scorso. 

Come secondo capitolo della trilogia annunciata sul tempo e sulla memoria (il capostipite è “La sorgente del fiume”), il regista ci accompagna in un triangolo amoroso che si dilata nel tempo, dalla gioventù dei protagonisti, fino alla loro anzianità. A. (Willem Dafoe) regista cinquantenne vuole raccontare attraverso un film la storia dei suoi genitori, Spyros e Eleni. La storia d'amore di questi due emigranti greci, è candidata da tutti gli eventi storici che hanno fatto il Novecento: la II Guerra Mondiale li separa e costringe Spyros (Michel Piccoli) a partire per gli Stati Uniti; in seguito alla Guerra Civile in Grecia, Eleni si ritrova in Siberia con altri esiliati politici; la Guerra in Vietnam costringe Spyros a trasferirsi in Canada, mentre la caduta del Muro di Berlino segnerà un cambiamento profondo nella sua esistenza. Come il secolo che hanno vissuto i protagonisti, il film di Angelopoulos è pieno di contraddizioni ed è espressamente criptico in molte parti. Del resto un tratto distintivo della poetica dell’autore è la visione immaginaria che il subconscio crea in ognuno di noi e che ci mostra una realtà diversa da quella che è. 

Il film è decisamente difficile da vedere: in molti tratti la narrazione si perde in troppa filosofia spicciola ed elucubrazioni sul senso dell’intera esistenza umana che scadono nella noia. Del resto la storia è solo un pretesto che serve al regista per presentare il suo conto (salato!) all’umanità e a quella generazione vissuta nel dopoguerra che ha creduto di poter creare un mondo migliore. Meno bello dei precendenti lavori, ma comunque è sempre un film di Angelopoulos che va visto e commentato, soprattutto perché ci sono giovani distribuzioni che hanno davvero il coraggio di portare in sala pellicole “alternative” alle logiche dello show business.

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