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giovedì 10 gennaio 2013

NON È UN PAESE PER VECCHI: RECENSIONE


Postata anche su Voto10.it
Oscar, anno 2008. Miglior film, Miglior regia, Miglior attore non protagonista e Miglior sceneggiatura non originale: questo il bottino di statuette portato a casa da “Non è un paese per vecchi”, capolavoro dei fratelli Joel ed Ethan Coen ritornano a dirigere una pellicola noir. “Non è un paese per vecchi” è tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, ambientato in Texas, e racconta di una sanguinosa vicenda di un uomo che per caso s'imbatte in una serie di assassinii, in una cospicua partita di droga e in 2,4 milioni di dollari in contanti.
Pellicola cruda e spietata, dove non manca il solito black humor, con il quale i fratelli Coen giocano fin dalle loro primissime opere, “Non è un paese per vecchi” non lascia un attimo di respiro allo spettatore, che ha la possibilità di godere di un film dal ritmo serrato, che non precipita mai in momenti di stallo, grazie all’ingrediente magico di questo film: la follia (in questo caso specifico la follia di tutto il genere umano). Del resto il personaggio più celebre dell’opera è proprio quello del sanguinario e misterioso killer interpretato da Javier Bardem, che Hollywood ha consacrato, come detto, con un Aademy Awards, per lasciarlo ai posteri.
Come capeggia in alto nella locandina, “Non è un paese per vecchi” è una pietra miliare, un film che ha rilanciato al cinema (e forse anche nelle serie tv) temi come la morte, la violenza gratuita, l’amore e l’umanità. Non è un caso che, nonostante il film sia stato molte volte accusato di mostrare la barbarie umana, andando a fondo nella narrazione, si scopre un cinema profondo, morale e moralizzante.
I Coen non hanno voglia di raccontare la realtà così com’è, ma hanno desiderio di mostrare la realtà così come è percepita dai loro occhi. E la realtà è cruda, folle, spettacolare, eccessiva in tutto e forse per salvarsi (se c’è la possibilità di una salvezza spirituale) bisogna solo avere fortuna e vincere una partita a testa o croce.

venerdì 17 dicembre 2010

BIUTIFUL: RECENSIONE

Postato anche su Filmforlife... 

Alejandro González Iñárritu torna dietro la macchina da presa con l’intenzione di realizzare un film di matrice ispanica. Per questo motivo il regista ha abbandonato Hollywood e ambientato il suo film a Barcellona in Spagna, pur trascinandosi dalle colline dorate di Los Angeles uno dei più bravi attori sulla piazza: Javier Bardem. Il risultato finale di questo grande duo è BIUTIFUL, uno schiaffo in pieno viso, che fa riflettere anche lo spettatore più cinico, almeno in qualche sequenza del film. Con un tono delicato e che punta a coinvolgere lo spettatore, Biutiful segue le vicende di Uxbal, un uomo con due figli intrallazzato in traffici poco leciti, nel momento in cui scopre di avere un cancro allo stadio terminale. Seguiamo insomma il cammino di un uomo che deve cercare di prepararsi al meglio al grande passo, cercando di garantire un futuro alla sua famiglia. A dirla tutta, dalla sinossi, ci si aspetterebbe uno di quei film in cui la mano non si stacca dagli occhi per asciugare i lacrimoni: non è così! Certo, ci sono parti intense e terribilmente commoventi, ma nelle oltre due ore di pellicola, Iñárritu lascia ampio spazio anche all’azione, inevitabile quando si vuole trattare un tema come quello dell’immigrazione clandestina. Infatti oltre alla morte e alla malattia, in Biutiful la realtà è affrontata dalla parte delle classi più basse, in uno stile di regia genuino e senza troppi fronzoli. Non siamo nell’alta borghesia. Ci muoviamo tra vicoli stretti e case fatiscenti, con una visione della periferia della città per quello che è: un luogo inospitale, cupo e degradato. Nonostante però queste premesse, BIUTIFUL perde la sua intrinseca drammaticità della vicenda personale a causa di una ricerca quasi spasmodica ed a volte inutile di voler a tutti i costi spostare l’attenzione sulla miriade di sub-plot (troppi!). Alcuni assolutamente superflui ed affrontati inevitabilmente in modo troppo frettoloso. Certo, questa abitudine alla pluralità di personaggi e vicende per Iñárritu non è altro che uno strascico che si porterà per sempre dietro dopo i lavori con Arriaga. Del resto ben guardare anche in Biutiful le storie si intrecciano. Nonostante un’unica storia principale, è come se il personaggio di Bardem fosse al centro di una rotonda dalla quale partono infinite strade, che lui deve percorrere una per una, altrimenti non si può giungere ad una conclusione. Questo purtroppo è un danno per il film che annoierà gli spettatori meno attenti ed appassionati. Certo la perfezione stilistica della regia, delle inquadrature, della fotografia fanno sì che si possa perdonare al regista messicano queste pecche a livello di sceneggiatura e qualche volo pindarico in situazioni che non sono assolutamente realistiche (come si fa a credere che la polizia spagnola compia un blitz nei confronti dei venditori senegalesi in pieno giorno e in pieno centro in una città caotica come Barcellona?) Meritata la Palma d’Oro come Miglior Attore a Cannes, affianco al nostro Elio Germano, per Bardem, un dio della recitazione. Lui da solo è un buon motivo per recarsi al cinema il 4 febbraio 2011 per andare a vedere Biutiful.

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