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giovedì 2 giugno 2011

HAPPY TOGETHER: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life...

“Happy Together” è il primo film che Wong Kar-wai gira fuori dalle mura amiche di Hong Kong. La storia si svolge proprio agli antipodi dell’amata patria, in Argentina, come agli antipodi sono i due protagonisti: due giovani omosessuali, innamorati ma perennemente in conflitto perché troppo diversi tra loro. 

Come in ogni film di Wong Kar-wai che si rispetti, anche in “Happy Together”, l’amore è infelice e tormentato, correlato dai temi cari al regista: la nostalgia, l’esilio, il senso di alienazione, che questi due ragazzi cinesi, in un contesto totalmente diverso dal loro luogo d’origine, vivono moltiplicato all’infinito rispetto agli altri personaggi finora messi sotto l’occhio delle telecamere del regista. 

La pellicola è tutta giocata proprio sul senso di rottura, della rinuncia e soprattutto del conflitto; conflitto che è ben visibile già dalla fotografia, curata dal fedele Christopher Doyle. Si passa con disinvoltura dal bianco e nero ai toni seppia, per poi giungere alla luci al neon della madre patria fino al lussureggianti acqua delle cascate di Iguazu. Certo questo conflitto si percepisce anche nelle musiche, che spaziano dai Beatles, omaggiati fin dal titolo, ai tanghi argentini più suadenti. Però sono i personaggi con i loro ambigui comportamenti a dare allo spettatore un senso di lotta continua, una vita senza pace, sempre alla ricerca di qualcosa che non si sa bene che cos’è. 

Pur mettendo in scena un amore omosessuale, il regista non indugia troppo su questo aspetto. In realtà avrebbe potuto utilizzare tranquillamente una coppia eterosessuale per raccontare questa storia, ma la voglia di avere insieme i suoi attori feticci Leslie Cheung e Tony Leung ha avuto il sopravvento. Del resto gay o no, i protagonisti sono inappagati e insoddisfatti dalla vita, quindi, anche “Happy Together” si ricollega ai leit motiv della filmografia wongkarwaiana. Questo lavoro non è che un altro tassello nel puzzle sui sentimenti umani che l’autore cinese, con tanta maestria riesce a raccontare, scagliando l’animo di chi assiste a narrazioni così sublimi. 

Il film ha vinto il premio alla regia a Cannes nel 1997 e, non si capisce bene per qualche astruso motivo, è stato vietato ai minori di diciotto anni in Italia. Ovviamente vogliamo credere che non sia per le caste scene di sesso omoerotiche o i dialoghi troppo spinti. Comunque “Happy Together” è il preludio per il capolavoro che Wong Kar-wai realizzerà ad inizio millennio: “In the Mood for Love”.

domenica 17 aprile 2011

DAYS OF BEING WILD: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life... 

Con “Days of Being Wild”, Wong Kar-wai si allontana definitivamente dalla influenza e dalle suggestioni del cinema di Hong Kong, di cui aveva dato prova nel suo primo lungometraggio “As Tears Go By”, dove era riusciuto a mescolare magistralmente action e melò. Affiancato dal suo fedele direttore della fotografia, Christopher Doyle, con questo lavoro il regista comincia a costruire e a dare forma a quello stile che lo renderà inconfondibile negli anni successivi. 

In “Days of Being Wild” assistiamo alle vicende intrecciate di quattro personaggi nella Hong Kong degli anni ’60. Il perno dell’azione ruota intorno all’amore, già, nella visione poetica del regista, irrealizzabile, sfuggevole e, per certi versi, solo platonico; un amore che tanto più è smisurato, tanto più non trova un epilogo felice. Yuddi (Leslie Cheung) è un dongiovanni insensibile, cresciuto da una prostituta perché abbandonato dai genitori quando era piccolo. Riesce a far innamorare di lui due bellissime ragazze: Su Li-Zhen (Maggie Cheung), un’ingenua cassiera e Mimì (Carina Lau), ballerina dai facili costumi. A questi protagonisti si aggiunge un ex poliziotto (Andy Lau) alla ricerca di se stesso che incontrerà i vari personaggi in momenti diversi della loro vita. 

Il giovane ed inesperto Wong Kar-wai (il film è del 1991) non riesce ancora a realizzare una pellicola sublime. Tante le pecche di questo film, che saranno poi praticamente azzerate nelle opere (d’arte) successive. In questo momento, sono ancora troppo eccessivi i momenti di pathos melenso e i sentimenti d’amore esagerati, addirittura isterici, dei vari personaggi. Certo si cominciano a notare con più chiarezza i tòpoi della filmografia che verrà: quel senso di disperazione quotidiana, di inadeguatezza, di perenne insoddisfazione e di continua sospensione, si realizza attraverso le immagini dei dettagli, nelle inquadrature che sviscerano l’anima accompagnate da una musica dolce, ma indagatrice, in una visione onirica del mondo e dei sentimenti dell’umanità. 

“Days of Being Wild” avrebbe dovuto avere un seguito, come quasi tutti i progetti nati dalla mente di Wong Kar-wai. Gli scarsi incassi al botteghino non hanno permesso al regista di affrontare un sequel, come sembrerebbero presumere le ultime inquadrature del film. Certo è che questa pellicola è la prova generale, con i suoi personaggi e le sue ambientazioni, per “In the Mood for Love”, che vedrà la luce solo dieci anni più tardi.

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