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venerdì 17 giugno 2011

I GUARDIANI DEL DESTINO: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life...

David Norris (Matt Damon) sta per vincere l'elezione per la carica di Senatore degli Stati Uniti nello stato di New York, ma una “paparazzata” gli fa perdere credibilità e quindi anche il verdetto delle urne è per lui sfavorevole. Quella stessa notte incontra la ballerina Elise Sellas (Emily Blunt), la donna dei suoi sogni, ma scopre che forse oscure (tra il divino e l’FBI) cercano di tenerli lontani. Questa la trama striminzita, giusto per non anticipare nulla, dell’intelligente commedia che il regista George Nolfi, al secolo sceneggiatore di “Ocean’s Twelve”e “The Bourne Ultimatim”, propone agli spettatori per la sua prima volta dietro la macchina da presa. 

Liberamente tratto dal racconto di Philip K. Dick “Squadra riparazioni”, dell’anno 1964, “I guardiani del destino” è un film piacevole, divertente e con qualche spunto di riflessione su grandi temi come la religione, il libero arbitrio dell’uomo e l’infallibilità del destino. Attraverso una sceneggiatura brillante, con qualche piccola pecche nel finale, Nolfe ci mostra una realtà governata da Osservatori speciali, determinati e sicuri, che sembrano lavorare per l’FBI, sotto il rigoroso controllo di un misterioso Presidente, che non compare mai e si lascia allo spettatore la scelta se si tratta di Dio o di qualche entità aliena, ma mortale. 

La fantascienza ritrova nuova linfa, mostrando il suo lato più divertente e godibile. In effetti le uniche pecche del lavoro sono l’eccessiva lunghezza e un po’ di banalità alla fine: un po’ di cattiveria in più non avrebbe rovinato il film, anzi forse lo avrebbe trasformato in un cult!

domenica 30 gennaio 2011

IL GRINTA: RECENSIONE

Postato anche su Voto10... Potete anche leggere l'altra mia recensione su Filmforlife... 

Non c’è niente da fare: quando Ethan e Joel Coen decidono di fare un film siamo sempre vicini alla perfezione. Non si smentiscono nemmeno nella loro ultima fatica “Il Grinta”, in cui i fratelli di Minneapolis si confrontano da un lato con un nuovo genere (il western) e dall’altro con un remake. I Coen propongono infatti al pubblico il rifacimento del western “True Grit” di Henry Hathaway, che nel 1969 portò il protagonista John Wayne a vincere il suo unico premio Oscar. La storia, tratta dal racconto di Charles Portis, racconta le vicende di Mattie Ross (Hailee Steinfeld), una quattordicenne, che ha sete di vendetta. Suo padre infatti è stato ucciso dal bandito Tom Chaney (Josh Brolin) e la giovane donna, per assolvere al suo “compito”, decide di ingaggiare Reuben J. 'Rooster' Cogburn (Jeff Bridges), uno sceriffo spietato e rude, che, per 100 dollari, decide di mettersi alle calcagna del criminale. Si tratta quinti di una sorta di road movie a cavallo, che mantiene però lo stile e il gusto dei western più classici. Nonostante la storia di questo “Grinta” sia praticamente la stessa rispetto al suo illustre predecessore, i due registi/sceneggiatori decidono di concentrare la loro attenzione sul punto di vista ragazzina. Infatti, mentre il personaggio di Jeff Bridges è Drugo (indimenticato protagonista de “Il grande Lebowski”) ai tempi dei pistoleri - disperato, solo ed alcolizzato – , Hailee Steinfeld ha l’arduo compito di mettere in scena una Dorothy un po’ particolare, che accetta di volare over the rainbow, ma per farlo deve mettersi il cappello da uomo e una pistola in tasca. Insomma una donna moderna ed emancipata, che non si assoggetta al volere del destino, ma agisce per ottenere il suo scopo. Questo personaggio è in effetti il più interessante della pellicola, dato che gli altri sono tutti stereotipi già visti al cinema. La pellicola è ben strutturata e la storia procede in modo molto (forse troppo) lineare, differentemente agli altri lavori dei Coen. La visione di questo film spiazzerà un po’ tutti i fan, perché addirittura anche la loro visione del mondo è cambiata e forse è maturata. Il mondo in mano al caos delle precedenti pellicole, lascia spazio ne “Il Grinta” ad una visione religiosa della società, in cui esiste una giustizia divina che prima o poi si farà viva e trarrà le sue conclusioni. Certo, questa giustizia è bypassata dalla loro visione unilaterale che si rifà più allo spirito dell’ “occhio per occhio, dente per dente”, più che alla divina misericordia del mondo cattolico.

domenica 9 gennaio 2011

HEREAFTER: RECENSIONE

Postato anche su Filmforlife...




Meno male che questo non è il vero cinema di Clint Eastwood: ecco una probabile frase che, un vero appassionato del buon vecchio Clint, potrebbe pronunciare una volta visto HEREAFTER, ultima fatica dell’highlander hollywoodiano. Del resto il regista ci ha abituato fin troppo bene e ad ogni suo film ci aspettiamo un capolavoro. Basta dare un’occhiata alle pellicole degli ultimi anni: Mystic River (2003), Million Dollar Baby (2004), Flags of Our Fathers (2006), Lettere da Iwo Jima (2007), Changeling (2008), Gran Torino (2008) e Invictus - L'invincibile (2009) per aspettarsi sempre il meglio dall’ex ispettore Callaghan. HEREAFTER purtroppo non è che il fratello minore di queste e delle altre perle forgiate dalla macchina da presa di Eastwood e che lo renderanno immortale. Pur essendo formale perfetto, con una splendida fotografia e una colonna sonora sempre azzeccata, il ritmo del film rimane lento ai limiti della sopportazione e la narrazione risulta alla fine talmente banale da lasciare senza parole. Tra l’altro è strano dover criticare lo sceneggiatore di questa pellicola, dato ce il buon Clint si è affidato a Peter Morgan, non certo un novellino dato che sulle spalle ha pellicole del calibro di The Queen e Frost/Nixon – Il duello. La storia racconta tre vicende parallele che si intrecciano, ma questa volta non in modo sapiente, solo in modo frettoloso e, per certi versi, senza un reale senso logico. Matt Damon, l’uomo da locandina attira spettatori, è un sensitivo che riesce con il solo tocco delle mani a mettersi in contatto con i morti dell’aldilà e lotta ogni giorno contro quello che crede essere una condanna e non un dono; Cécile De France è una giornalista francese che scampa miracolosamente ad un’esperienza di pre-morte; mentre un giovanissimo Frankie McLaren è un bambino che deve affrontare la morte del fratello gemello e cercare di andare avanti. Certo forse tutto questo accanimento contro questo film è dovuto al fatto che alla voce “diretto da” c’è proprio il nome di Clint Eastwood. Alla fine ci ha regalato talmente tante emozioni il nostro amato 80enne, che qualche piccola defaillance possiamo perdonargliela!

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