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venerdì 17 dicembre 2010

BIUTIFUL: RECENSIONE

Postato anche su Filmforlife... 

Alejandro González Iñárritu torna dietro la macchina da presa con l’intenzione di realizzare un film di matrice ispanica. Per questo motivo il regista ha abbandonato Hollywood e ambientato il suo film a Barcellona in Spagna, pur trascinandosi dalle colline dorate di Los Angeles uno dei più bravi attori sulla piazza: Javier Bardem. Il risultato finale di questo grande duo è BIUTIFUL, uno schiaffo in pieno viso, che fa riflettere anche lo spettatore più cinico, almeno in qualche sequenza del film. Con un tono delicato e che punta a coinvolgere lo spettatore, Biutiful segue le vicende di Uxbal, un uomo con due figli intrallazzato in traffici poco leciti, nel momento in cui scopre di avere un cancro allo stadio terminale. Seguiamo insomma il cammino di un uomo che deve cercare di prepararsi al meglio al grande passo, cercando di garantire un futuro alla sua famiglia. A dirla tutta, dalla sinossi, ci si aspetterebbe uno di quei film in cui la mano non si stacca dagli occhi per asciugare i lacrimoni: non è così! Certo, ci sono parti intense e terribilmente commoventi, ma nelle oltre due ore di pellicola, Iñárritu lascia ampio spazio anche all’azione, inevitabile quando si vuole trattare un tema come quello dell’immigrazione clandestina. Infatti oltre alla morte e alla malattia, in Biutiful la realtà è affrontata dalla parte delle classi più basse, in uno stile di regia genuino e senza troppi fronzoli. Non siamo nell’alta borghesia. Ci muoviamo tra vicoli stretti e case fatiscenti, con una visione della periferia della città per quello che è: un luogo inospitale, cupo e degradato. Nonostante però queste premesse, BIUTIFUL perde la sua intrinseca drammaticità della vicenda personale a causa di una ricerca quasi spasmodica ed a volte inutile di voler a tutti i costi spostare l’attenzione sulla miriade di sub-plot (troppi!). Alcuni assolutamente superflui ed affrontati inevitabilmente in modo troppo frettoloso. Certo, questa abitudine alla pluralità di personaggi e vicende per Iñárritu non è altro che uno strascico che si porterà per sempre dietro dopo i lavori con Arriaga. Del resto ben guardare anche in Biutiful le storie si intrecciano. Nonostante un’unica storia principale, è come se il personaggio di Bardem fosse al centro di una rotonda dalla quale partono infinite strade, che lui deve percorrere una per una, altrimenti non si può giungere ad una conclusione. Questo purtroppo è un danno per il film che annoierà gli spettatori meno attenti ed appassionati. Certo la perfezione stilistica della regia, delle inquadrature, della fotografia fanno sì che si possa perdonare al regista messicano queste pecche a livello di sceneggiatura e qualche volo pindarico in situazioni che non sono assolutamente realistiche (come si fa a credere che la polizia spagnola compia un blitz nei confronti dei venditori senegalesi in pieno giorno e in pieno centro in una città caotica come Barcellona?) Meritata la Palma d’Oro come Miglior Attore a Cannes, affianco al nostro Elio Germano, per Bardem, un dio della recitazione. Lui da solo è un buon motivo per recarsi al cinema il 4 febbraio 2011 per andare a vedere Biutiful.

martedì 9 novembre 2010

LA NOSTRA VITA: RECENSIONE


Con “La nostra vita” il regista Daniele Luchetti porta sul grande schermo una vicenda che racconta come “la vita continui”, nonostante tutti gli inconvenienti che possono accadere alle persone comuni. Il progetto si inscrive nel filone di “Mio fratello è figlio unico” con la famiglia (più o meno disastrata) sempre al centro dell’idea di società di Luchetti, che riesce ad esportare la qualità del buon cinema italiano, quello che oramai sempre più raramente si vede, partecipando al 63esimo Festival di Cannes. La storia è quella di Claudio, interpretato da uno straordinario e particolarmente intenso Elio Germano, che perde la moglie (Isabella Ragonese) in sala parto, ritrovandosi da solo a dovere crescere ben tre figli piccoli. Il giovane operaio edile non è assolutamente pronto ad affrontare tutto quello che la vita ha in serbo per lui, e decide di trovare conforto concentrando le sue sole attenzioni sugli oggetti materiali, per migliorare la vita dei suoi bambini: un modo assolutamente credibile di elaborare un così grave lutto. A essere esaltato in questo film è infatti certamente il nuovo proletariato delle periferie delle grandi città, alla ricerca del benessere da soap opera, ottuso (o almeno così agiscono i personaggi) nell’esasperata ricerca di denaro per saziare i propri appetiti di normalità. Basti pensare che per Claudio la soluzione migliore per aiutare i bambini nella propria crescita è quello di mettersi in un progetto più grande di lui, rischiando di finire seriamente nei guai. I complimenti vanno certamente ad Elio Germano che si candida a tutti gli effetti come nuovo attore di punta del cinema italiano, regalando quella che a tutt’oggi è la sua migliore interpretazione e per cui meriterebbe certamente un degno riconoscimento. I protagonisti del film, almeno fino alla risoluzione finale, non riescono mai a comunicare i propri sentimenti, segnalando un degrado culturale ed emotivo che si caratterizza soprattutto negli straordinari dialoghi, che sono ben scritti anche se emotivamente vuoti, come giustamente devono essere per integrarsi con il contorno in cui si svolge l’azione. La pellicola sempre in bilico riesce a non precipitare nei soliti clichè tanto cari al nostro cinema, facendo scendere qualche lacrimuccia anche ai più scettici e cinici degli spettatori. Che il lavoro di squadra funzioni sempre al cinema lo dimostra proprio questo film, in cui tutti i reparti, fotografia e montaggio in primis, sono coordinati alla perfezione per ottenere infine un ottimo risultato.

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