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venerdì 1 aprile 2011

HOP: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life...


In Italia li chiameremmo cine-colomba, negli States non hanno ancora coniato un termine ma hanno tentato di realizzare un film interamente dedicato alla Pasqua. Ne avevamo bisogno? Decisamente no! Dopo le pellicole sul Natale, con “Hop” ci addentriamo invece dentro il mondo pasquale, che per come è raccontato è praticamente la brutta copia della festività dicembrina. C’è una slitta, trainata non da renne ma da pulcini; c’è una fabbrica di regali, anzi caramelle, che non si trova al Polo Nord, ma sull’isola di Pasqua (fantasia!); ci sono gli gnomi, rappresentati dai pulcini; e c’è un Babbo Natale, che comanda tutto e tutti, che porta il titolo di Coniglietto Pasquale. 

In teoria le carte in tavola per realizzare un buon prodotto c’erano tutte, ma la sceneggiatura insapore rende la visione in una via crucis, giusto per rimanere in tema con la festività. Infatti un pubblico sopra i 5 anni dopo 10 minuti di film ha due opzioni: la catalessi o abbandonare la sala. I protagonisti del film di Tim Hill sono: da una parte C.P., il figlio del coniglietto pasquale in carica che vorrebbe diventare un batterista e Fred, un trentenne che non riesce a trovare un lavoro e un posto nella società, essendo un nullafacente. 

Ritornando un po’ all’obsoleta tecnica dei disegni animati (anche se in computer grafica sempre di cartoni si tratta) e recitazione in carne ed ossa, la narrazione si perde in un bicchier d’acqua. Il racconto che comincia con il voler approfondire il rapporto padre-figlio, raccontato per altro in maniera banale e superficiale, ad un certo punto devia su un altro binario che sembra dire ai bambini: mai alterare lo status quo. Se sei un umile operaio rimarrai tale a vita e non puoi ambire ad altro. Se portate i vostri figli al cinema alla fine spiegate che devono sempre puntare alle stelle. 

Un’altra nota di demerito che rende “Hop” ancora più fastidioso di quello che deve essere nella versione inglese? Il nostro doppiaggio. Tremendo! Si salvano i personaggi secondari, ma i veri protagonisti non si possono ascoltare.

lunedì 22 novembre 2010

LA DONNA DELLA MIA VITA: RECENSIONE

Postato anche su Film4life.org...

Esiste in Italia una tipologia di commedie che potremmo definire ibride, che vogliono far riflettere ridendo. Il problema è che, volgendo lo sguardo alla “commedia all’italiana” degli anni Sessanta, pretendono di essere anche film d’autore, pur riuscendo malamente o per nulla nel tentativo. In questa categoria possiamo facilmente inserire La donna della mia vita, l’ultimo lavoro di Luca Lucini. Alla sua quinta commedia il regista si ispira ad un soggetto della Comencini, affida una parte al suo attore feticcio (il gieffino Luca Argentero), gli affianca un fratello con le fattezze di Alessandro Gassman e gli fa contendere una campionessa di incassi come Valentina Lodovini. Senza andare troppo a fondo con i giudizi estetici, la pellicola non funziona soprattutto sotto un punto di vista: la scrittura dei personaggi. Dove sono le motivazioni che spingono all’azione? Dov’è l’arco di trasformazione, che in George Cukor, a cui Lucini ha dichiarato più volte di ispirarsi, avviene in modo sempre diverso e geniale? Semplicemente assente! La donna della mia vita è una sempliciotta commedia delle bugie, in cui non accade nulla, il lieto fine è scontato e gli equivoci, che dovrebbero tenere vivo l’interesse dello spettatore, annoiano da morire, perché fin troppo banali. Il livello più basso però lo toccano gli sciatti dialoghi, seguiti dalla recitazione grottesca di Argentero della prima parte del film; troppo grottesca per accettare la metamorfosi finale del suo personaggio. Il cinema italiano si vanta tanto di riuscire sempre a creare con le sue sceneggiature una stupenda ed immediata empatia tra i protagonisti e lo spettatore, questa volta però non realizza questo miracolo. Dopodichè non è assolutamente detto che l’opera sia un disastro al botteghino. Meglio sorvolare infine sulla pessima scelta di inserire marchi pubblicitari in ogni dove, nei posti e nei momenti più assurdi e meno opportuni; si dice che il cinema sia in crisi: forse anche questo è un modo per racimolare soldi! Certo, non aspettatevi di riflettere sul fascino dell’alta borghesia italiana di inizio millennio. Ma se proprio volete farlo il giudizio sarà una bocciatura morale inevitabile.  

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