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domenica 30 gennaio 2011

IL GRINTA: RECENSIONE

Postato anche su Voto10... Potete anche leggere l'altra mia recensione su Filmforlife... 

Non c’è niente da fare: quando Ethan e Joel Coen decidono di fare un film siamo sempre vicini alla perfezione. Non si smentiscono nemmeno nella loro ultima fatica “Il Grinta”, in cui i fratelli di Minneapolis si confrontano da un lato con un nuovo genere (il western) e dall’altro con un remake. I Coen propongono infatti al pubblico il rifacimento del western “True Grit” di Henry Hathaway, che nel 1969 portò il protagonista John Wayne a vincere il suo unico premio Oscar. La storia, tratta dal racconto di Charles Portis, racconta le vicende di Mattie Ross (Hailee Steinfeld), una quattordicenne, che ha sete di vendetta. Suo padre infatti è stato ucciso dal bandito Tom Chaney (Josh Brolin) e la giovane donna, per assolvere al suo “compito”, decide di ingaggiare Reuben J. 'Rooster' Cogburn (Jeff Bridges), uno sceriffo spietato e rude, che, per 100 dollari, decide di mettersi alle calcagna del criminale. Si tratta quinti di una sorta di road movie a cavallo, che mantiene però lo stile e il gusto dei western più classici. Nonostante la storia di questo “Grinta” sia praticamente la stessa rispetto al suo illustre predecessore, i due registi/sceneggiatori decidono di concentrare la loro attenzione sul punto di vista ragazzina. Infatti, mentre il personaggio di Jeff Bridges è Drugo (indimenticato protagonista de “Il grande Lebowski”) ai tempi dei pistoleri - disperato, solo ed alcolizzato – , Hailee Steinfeld ha l’arduo compito di mettere in scena una Dorothy un po’ particolare, che accetta di volare over the rainbow, ma per farlo deve mettersi il cappello da uomo e una pistola in tasca. Insomma una donna moderna ed emancipata, che non si assoggetta al volere del destino, ma agisce per ottenere il suo scopo. Questo personaggio è in effetti il più interessante della pellicola, dato che gli altri sono tutti stereotipi già visti al cinema. La pellicola è ben strutturata e la storia procede in modo molto (forse troppo) lineare, differentemente agli altri lavori dei Coen. La visione di questo film spiazzerà un po’ tutti i fan, perché addirittura anche la loro visione del mondo è cambiata e forse è maturata. Il mondo in mano al caos delle precedenti pellicole, lascia spazio ne “Il Grinta” ad una visione religiosa della società, in cui esiste una giustizia divina che prima o poi si farà viva e trarrà le sue conclusioni. Certo, questa giustizia è bypassata dalla loro visione unilaterale che si rifà più allo spirito dell’ “occhio per occhio, dente per dente”, più che alla divina misericordia del mondo cattolico.

giovedì 25 novembre 2010

RAPUNZEL - L'INTRECCIO DELLA TORRE: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life...


La Disney convola alle nozze d’oro insieme a “Rapunzel - l’intreccio della torre”, il cinquantesimo capolavoro animato sfornato dagli Studios, fondati dallo zio Walt, ormai quasi cento anni fa. La sera del 21 dicembre 1937, un perfezionista assoluto come Walt Disney realizzava il suo sogno: far debuttare una principessina pallida sul grande schermo. Il suo nome è Biancaneve, la protagonista del primo lungometraggio d’animazione nella storia del cinema. Oggi a distanza di 73 anni la magia, creata da quei fotogrammi, si rinnova grazie ai venti metri di capelli illuminati di Rapunzel. Dopo “La Principessa e il ranocchio”, la Disney re-interpreta un’altra favola classica, riadattando però magnificamente il tutto al gusto moderno, per non deludere le aspettative del pubblico dei nostri tempi. La Disney insomma è tornata a fare la Disney. Non potendo competere con le “cattive” vicende dalla Dreamworks, la storia punta tutto sullo stile fiabesco, come del resto ci si aspetta da uno script disneyano. Rapunzel è infatti un distillato di storia, un omaggio, una celebrazione del cartone Disney, come è anche giusto che sia date le circostanze di festa: 50 lungometraggi vanno festeggiati nel migliore dei modi. E in quest’opera (ri)troviamo tutti i temi tanto cari allo zio Walt. Si parte dal normale passaggio dall’adolescenza all’età adulta, attraverso la costruzione di un’identità, anche sessuale, tramite l’esperienza diretta, l’avventura. Ma non mancano nemmeno la voglia di libertà e soprattutto la ribellione ad una madre nastratrice di perfetta ascendenza disneyana. “Rapunzel” è un’esplosione di avventura e commedia, che non rinuncia alla parte musical, che ha reso la Disney diversa ed unica nel tempo. Nella versione italiana a prestare la voce ai due personaggi principali ci pensano il coriaceo e poliedrico Giampolo Morelli e una straordinaria Laura Chiatti - a cui verrebbe da dire, in linea con la magia del cartone: “Hai trovato la tua strada… non mollare il doppiaggio!” La pellicola realizzata da Nathan Greno e Byron Howard però è anche una rivincita sul 3D, nonostante la maggior parte dei cinema vi proporrà gli occhialetti. Per rivincita sul 3D, intendiamo la vittoria della matita sul computer. “Rapunzel – L’intreccio della torre” sfrutta magnificamente le potenzialità del digitale, però sempre avendo come base la mano umana e tanto olio di gomito. Del resto come non apprezzare l’animazione? Maximus, il cavallo segugio, sembra vero. Infine Rapunzel è Ariel, Quasimodo, Aladdin, Belle, Cenerentola, Biancaneve: insomma la nuova eroina ha dentro sé il background perfetto per permettere agli Studios di affrontare con il giusto ottimismo prima il botteghino e poi il futuro.

lunedì 8 novembre 2010

LA PRINCIPESSA E IL RANOCCHIO: RECENSIONE



Negli anni ’90 non esisteva Natale senza un lungometraggio firmato Walt Disney. “La Principessa e il Ranocchio” catapulta lo spettatore indietro nel tempo e fa rivivere sul grande schermo la magia che lo stesso Walt Disney aveva inaugurato con “Biancaneve e i sette nani”. Questo film d’animazione segna quindi il ritorno ufficiale alle fiabe ed al fascino del disegno a mano. “La Principessa e il ranocchio” è un piccolo capolavoro animato: la miglior risposta che l’“obsoleta” mano dell’uomo potesse dare al 3D. La regia, affidata a due esperti del disegno, Ron Clements e John Musker, creatori de “La Sirenetta” (1989) e “Alladin” (1993), sotto l’occhio attento del guru della Pixar, John Lassent, compie il piccolo miracolo di rivalorizzare una tecnica, il 2D, che sembrava dovesse essere solo ricordata. Certo è che con questa pellicola si ritorna al passato anche per il genere che è stato scelto: il musical. Ci sono ben 7 brani inediti che scandiscono i momenti più importanti dell’azione. La colonna sonora affidata al pluripremiato compositore Randy Newman, è una mistura di sound diversi: dal jazz, al gospel, al blues e alla musica creola delle origini. Aggiungendo al tutto una sceneggiatura sempre ben calibrata e mai banale, che mescola il carisma dei personaggi, con situazioni umoristiche e momenti di grande commozione il risultato è eccellente. Il ritorno di Disney alle fiabe classiche non avviene semplicemente riadattando per il grande schermo “Il principe ranocchio” dei fratelli Grimm. Nella favola originale, infatti, una principessa bacia un brutto e viscido rospo che finisce per trasformarsi in un bellissimo principe e i due si sposano. Nella rivisitazione disneyana cambiano diverse cose. Siamo nel terzo millennio e la narrazione ha subito già delle svolte epocali. La storia non si svolge più in mitici palazzi medievali, con principesse e cavalieri, ma è ambientata nella caotica città del jazz, New Orleans, durante gli anni ‘20. Molti personaggi sono di colore e di colore è anche la splendida protagonista, Tiana, che a dispetto di quello che fa pensare il titolo, è una semplice cameriera, con un grande sogno nel cassetto: aprire un ristorante nella zona portuale della città. Non c’è nessuna principessa, dunque, ma c’è un principe: Naveen, un playboy fannullone, che è rimasto senza un soldo, perché i suoi genitori lo hanno diseredato. È il cattivo a dare il via all’azione vera e propria: l’astuto dottor Facilier, una summa dei malvagi disneyani (quasi inevitabile il raffronto con il longilineo Jafar di Alladin), che servendosi della sua persuasione e della voglia di riscatto di un grasso maggiordomo si servirà dei suoi incantesimi per trasformare il principe in un rospo. Ed è a questo punto che i destini dei due eroi s’incrociano. Ne “La principessa e il ranocchio” gli autori strizzano l’occhio anche nelle scene, nei disegni e nei simboli a classici come “Pinocchio”, “La Bella Addormentata”, o i più recenti “Alladin” ed “Hercules”, scritti e diretti entrambi dalla coppia Clements-Musker. L’animazione permette ai personaggi che si muovono sullo schermo di avere un calore che forse ancora non abbiamo ancora visto nelle storie in 3D con essere umani. Una pellicola che diventerà un classico, con personaggi che rimarranno nella storia del cinema.

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