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mercoledì 1 agosto 2012

PICCOLE BUGIE TRA AMICI: RECENSIONE


Postato anche su Film4Life...

“Piccole Bugie tra Amici”, presentato due anni fa al Festival Internazionale del Film di Roma, finalmente approda anche nelle sale italiane. Il film di Guillaume Canet scandaglia nel profondo la borghesia francese, portando alla luce ciò che si nasconde dietro questa bella facciata di ipocrisia. La pellicola comincia infatti con un incidente stradale, di cui è vittima Ludo (Jean Dujardin) e da quel momento, il gruppo storico di amici del trentenne, decide comunque di continuare la propria vita, partendo per le vacanze piuttosto che rimanere al capezzale dell’amico morente in ospedale. Attraverso questo pretesto, Guillame Canet regala uno spaccato della borghesia francese, che ci ricorda da vicino i film di Buñuel; solo che questa volta il tutto è raccontato con un’aria meno onirica e in un ambiente da vacanze estive.

Ninfomani, omofobi, cinici, ipocriti, spietati, egoisti, i personaggi diretti da Guillaume Canet non hanno nulla di positivo e non riescono a guardare oltre il proprio interesse personale, che sia il meritato riposo dopo un anno di lavoro, piuttosto che il piacere fisico in senso stretto. Le telecamere dell’attore/regista non sono indulgenti e anzi non mancano nemmeno di accusare, criticando pesantemente, le scelte dei suoi personaggi, che rispondono tra l’altro a nomi di attori di punta del cinema francese e non solo, partendo da Marion Cotillard, ed arrivando ad attori come Benoît Magimel, Gilles Lellouche, Laurent La fitte e François Cluzet; oltre al sopraccitato Dujardin, fresco di premio Oscar.

“Piccole Bugie tra Amici” è un ottimo film, che racconta senza troppi orpelli une tranche de vie, in cui ognuno potrebbe ritrovarsi dato che prima o poi ognuno di noi si è ritorvato nella condizione di dover mentire sulla propria condizione familiare e/o economica ai proprio amici. Consigliato!

martedì 11 gennaio 2011

BIG FISH - LE STORIE DI UNA VITA INCREDIBILE: RECENSIONE






Postato anche su Voto10... 


Edward Bloom è l'uomo che racconta nelle sue storie. É, infatti, impossibile distinguere l'uomo reale dalla leggenda che si è creato attraverso la narrazione delle sue incredibili avventure. In fin dei conti però non è mai un gran bugiardo, ma solo un grande poeta moderno che riesce a romanzare tutti gli episodi e tutti i personaggi che realmente ha incontrato nel corso della sua vita. Questo è quello che ci racconta Tim Burton nel film “Big Fish – Le storie di una vita incredibile”, lavoro del 2003 ed ultima vera opera d’arte dell’eccentrico regista di Burbank. La pellicola è giocata tutta sullo rapporto labile tre realtà e finzione, per cercare di evadere dalla triste routine quotidiana che solpisce ogni essere umano. Quindi perché non viaggiare attraverso miti e leggende per rendere stupefacente un episodio tristemente incolore? Attraverso una sceneggiatura sempre incalzante e che non abbassa mai la guardia, scopriamo il vero universo burtoniano fatto di mostri, streghe e fate, in cui l’eccezionale cast (Ewan McGregor, Albert Finney, Billy Crudup, Jessica Lange, Helena Bonham Carter, Steve Buscemi, Danny DeVito, Marion Cotillard) può dare il meglio di sé. La vita di Edward è raccontata, attraverso continui flashback, dall’infanzia fino all’età adulta, con un particolare risalto dato al contrastato e contrastante rapporto con il suo unico figlio. Ovviamente immancabile il paragone con il più grande onirico di tutti i tempi: il nostro Federico Fellini. Tim Burton si confronta con le opere più belle del regista riminese, riuscendo a reggere il confronto con il grande maestro italiano. Nella pellicola e in più occasione è richiamato l’universo felliniano, un solo esempio su tutti: le scene del circo. Insomma uno di quei film da vedere e rivedere e assolutamente da non perdere.

lunedì 8 novembre 2010

NINE: RECENSIONE


Dimenticate Fellini e godetevi questo musical!”: ecco la frase che dovrebbe capeggiare all’inizio di “Nine”, il nuovo film di Rob Marshall. Del resto è davvero difficile, guardando l’opera, non aver in mente le immagini di “8 ½”, quando per mesi non lo si è paragonato ad altro. RifareFellini certamente non è facile. Rifare poi il film più intimo del regista di Rimini, appare quasi impossibile ed il risultato finale di “Nine” ne è la prova evidente. Dopo averlo presentato come remake, e poi, correggendo il tiro, proposto come lavoro liberamente ispirato al musical di Broadway – tra l’altro mai riconosciuto dal regista de “La Dolce Vita” – Marshall non riesce nel suo intento mal velato, di omaggiare il cinema italiano e il suo più grande regista. In molte parti la pellicola finisce per essere l’esatta copia del capolavoro felliliano, ma non è all’altezza, di quello che è considerato ancora oggi uno dei cinque film più belli nella storia del cinema. Detto ciò, si può cercare di salvare il salvabile. Marshall aveva tra le mani un cast invidiabile di attrici: Penélope Cruz, nel ruolo dell’amante capricciosa e un po’ stupida di Guido; Marion Cotillard, splendida moglie che soffre delle continue bugie raccontate del marito;Sophia Loren, madre defunta e sempre amata; Nicole Kidman, musa ispiratrice; Stacy “Fergie” Ferguson, prostituta da 4 soldi che istruisce, ballando sulle sponde del mare (come in “8 ½”), ai piaceri della vita il piccolo Guido ed infine Judi Dench, sarta e confidente del regista. Tutte comunque un po’ sotto tono: anche perché le si dovrebbe mettere a confronto con le dive di Fellini. Ci sono solo due momenti che si possono considerare realmentemusical in tutto il lungometraggio: la prestazione di un’ispirata Judie Dench, persa nelle sue “Folies Bergère” e l’ottima prova della “debuttante” Fergie, che esalta la supremazia sessuale del maschio italico (“Be italian”). La narrazione procede su due piani: quello della realtà e quello dell’immaginazione. Nel primo c’è un regista (Daniel Day-Lewis) che deve realizzare un film e ha esaurito le idee, nel secondo ci sono tutti i suoi sogni: il rapporto con le sue donne, le sue ossessioni, i suoi desideri, la sua lussuria, la sua passione, la sua arte, la sua voglia di esprimersi ancora, che assumono la forma di canzoni. Guido è, prima di tutto, uomo che è rimasto bambino, che gioca a vivere, che non riesce a smettere di recitare la parte del regista anche nella vita. Plauso a Marshall, che si conferma uno dei più grandi registi di musical in attività. Molto piacevole il contrasto tra i colori luminosi ed il bianco e nero dei ricordi e le meravigliose coreografie durante le canzoni, seppure a un livello molto inferiore rispetto a “Chicago”. Purtroppo nel film l’immagine degli italiani è il risultato dei soliti stereotipi che ci accompagnano da sempre: Italia? Spaghetti e Mandolini! E a tutto ciò si aggiunge anche un’altra nota d’amarezza: perché sono dovuti venire gli americani a rifare la nostra “Dolce Vita”? Con quel pizzico d’orgoglio che ci rimane, potremmo dire, parafrasando Quintiliano, Fellini toto nostro est!

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