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mercoledì 1 agosto 2012

LA TALPA: RECENSIONE

Postato anche su Film4life... 

Il film di Tomas Alfredson era uno dei titoli più attesi a questa 68esima Mostra del cinema di Venezia. In primis perché era dato dai bookmaker come il probabile filo di apertura, sostituito poi dal glamour de “Le idi di marzo” di Clooney, in secondo luogo perché tratto da un romanzo di successo e infine per i nomi eccellenti di cui si compone il cast. Gli unici però che possono gioire per il risultato finale di questo lavoro sono i veri appassionati delle spy-story, dato che il film è ricco, anche fin troppo, di intrecci narrativi e personaggi, che però hanno la capacità di confondere chi invece si reca in sala solo per godere di un film. 

La storia di “Tinker, Tailor, Sordier, Spy - La Talpa” è tratta dall’omonimo romanzo di John le Carrè del 1974 e si ispira alla stoira di Kim Philby, il celebre infiltrato del KGB all’interno del MI6 britannico. Da questo spunto parte Alfredson per narrare la sua di storia, avvalendosi di attori (tutti uomini!, ma è ambientato subito dopo la guerra) veramente straordinari, capeggiati da un bravissimo Gary Oldman. Forse è proprio il cast (Toby Jones, Colin Firth, Mark Strong, Tom Hardy, John Hurt) a non far annoiare del tutto, dato che il livello di attenzione deve essere mantenuto sempre alto, se si ha voglia di capire qualche cosa di tutta la trama: distrarsi un secondo può essere fatale, perché il film è ridondante, come detto, di subplot. La narrazione procede in modo lineare e non cerca nemmeno per un momento di confondere le acque e le troppe spiegazioni, spezzando il ritmo del montaggio, rovinano un po’ il gioco di scoprire il colpevole, che sta alla base di ogni racconto sullo spionaggio. Nel momento in cui Alfredson abbandona le parole per dedicarsi solo a mostrare visivamente il suo film (ovvero nel finale), il livello improvvisamente si eleva e anche se per pochi minuti si può gioire di ciò che si è visto. Certo c’è da dire che il regista è anche riuscito, attraverso le immagini (merito del direttore della fotografia) a ricreare i colori plumbei del mondo della politica degli anni ‘60, quando tutto il mondo attendeva con ansia quell’apocalittica terza guerra mondiale che, fortunatamente, non ha mai visto la luce. Non esaltante, ma c’è di peggio!

lunedì 8 novembre 2010

A SINGLE MAN: RECENSIONE






Uscendo dal cinema dopo aver visto “A Single Man”, si ha come l’impressione di non aver assistito ad un film, ma ad una lezione di vita. È una pellicola spirituale che, attraverso la vicenda di un professore universitario, narra l’essenza del genere umano, diviso da millenni tra Eros e Thanatos. Tom Ford filosoficamente ispirato ci racconta, in una successione di sequenze stilisticamente perfette, una storia imbevuta di simboli filosofici, mitilogici e religiosi che arricchiscono e non sviliscono (come accade in molti film) una struttura narrativa semplicemente perfetta. Si passa con disinvoltura da “Le Metamorfosi” di Ovidio a Goethe, dalle feste pagane del corteggiamento al mistero della nascita. L’estetica visiva riesce ad essere all’altezza dell’ottima sceneggiatura. I protagonisti nascondono la loro paura di vivere sotto la perfezione formale. Basti notare ad esempio come i volti dei personaggi e le situazioni che vivono s’illuminano dei diversi colori dello stato d’animo: il blu spirituale, il rosso lussuria, il rosa tenerezza ed infine il grigio presagio di morte. Aiutata dal bellissimo romanzo di Christopher Isherwood, la narrazione procede lenta, ma mai noiosa: romantica e sentimentale. Nei personaggi - soprattutto il professor George Falconer, interpretato magistralmente da Colin Firth, che dopo aver vinto la Coppa Volpi a Venezia, meriterebbe di alzare l’Oscar sul cielo di Los Angeles - c’è tutta la forza della pellicola. Il tema dell’omosessualità è, infatti, solo sfiorato e non è il perno della storia, come si potrebbe immaginare. Non vi aspettate una storia d’amore gay perché “A Sigle Man” è tutt’altro. È solo la vicenda di un uomo ossessionato dal passato, non riuscendo ad immaginare un futuro a causa della morte del compagno in un incidente stradale. Ricordi della vita felice che riaffiorano ossessivi in ogni cosa che l’occhio del protagonista scruta: che sia il rimmel di una segretaria dell’università o una rosa rossa davanti al portone di una casa. Nulla in questo film è lasciato al caso: ogni cosa è studiata nei minimi dettagli. Elegante e chic, formalmente perfetto, come le collezioni a cui ci aveva abituato Tom Ford nella sua carriera da stilista. Si possono dunque fare ancora dei gioielli cinematografici senza l’utilizzo delle abusate tecniche tridimensionali. “A Single Man” riesce ad essere piacevole alla vista senza eccedere nella spettacolarità delle tecniche digitali. Che dire? La risposta migliore a Cameron, che fino a qualche mese fa si vantava che grazie al suo “Avatar” non sarebbero esisti mai più pellicole con personaggi in carne ed ossa, la dà Tom Ford con questa sua opera prima. Sinceramente poi se questo è l’inizio aspettiamoci grandi cose in futuro da questo Regista, l’uomo à la page che il cinema stava aspettando.

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