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lunedì 11 luglio 2011

HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE PARTE 2: L'HO VISTO!!!

SE VOLETE SAPERE CHE COSA PENSO DELL'ULTIMO CAPITO DI HARRY POTTER NON DOVETE FAR ALTRO CHE CLICCARE QUI...  OPPURE ASPETTARE IL 13 LUGLIO, QUANDO POSTERO' LA RECENSIONE SUL BLOG... NON VI NEGO CHE UNA LACRIMUCCIA FINALE MI E' VENUTA FUORI... ALLA FINE, HARRY MI HA CRESCIUTO... DAI 15 AI 25 ANNI... NON MALE COME PERIODO... ORA SONO CRESCIUTO DEFINITIVAMENTE!!!

HARRY POTTER E IL CALICE DI FUOCO: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life... 

Il periodo spensierato dell’infanzia Harry Potter e i suoi inseparabili compagni di avventure lo hanno ormai abbandonato alla fine del terzo anno ad Hogwarts, con la conclusione di “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, dove il passato del maghetto torna prepotentemente a rincorrerlo. Con questo quarto capitolo, la storia si fa più avvincente, anche perché la scuola di magia frequentata dal signor Potter ospita il prestigioso “Torneo Tre Maghi”, una competizione in cui tre allievi delle tre scuole di magia più importanti al mondo si sfidano per raggiungere l’eterna gloria. Nonostante il limite d'età sia stato fissato a diciassette anni e i partecipanti a tre, Harry viene iscritto, suo malgrado, ed è costretto a partecipare. 

In questo nuovo film, con un cambio di regia – da Alfonso Cuaron a Mike Newell –, l’attenzione si concentra più sui tormenti adolescenziali dei protagonisti (“chi invitare al ballo della scuola?”) piuttosto che sulla spettacolarità delle prove che i maghi devono affrontare nel torneo. Effettivamente il romanzo aveva molto più materiale e, sicuramente, se questo film si fosse realizzato in anni recenti, sarebbe stato diviso in due parti. Certo è che non mancano i momenti emozionanti e una narrazione che spesso sfocia nell’horror. La narrazione è infatti abbastanza cupa e le magiche atmosfere gaie dei primi due film sono state abbandonate, e tra amputazioni, sangue, morte e primi tormenti sessuali, il film è decisamente il più “pauroso” della serie. 

Poi finalmente nel Calice di Fuoco fa la sua comparsa il nemico giurato di Harry Potter: Lord Voldemort, che si fa uomo ed è un’entità carnale e non più solo un fantasma del passato. Dunque il male fa la sua comparsa e, con la cattiveria che non ti aspetti da un fantasy per giovanissimi, si comporta nel modo più crudele: l’Avada Kedavra su uno dei protagonisti. Insomma forse non proprio il migliore dei film sul maghetto ma certamente non ha deluso i fan, come invece faranno le due pellicole che seguiranno.

lunedì 20 giugno 2011

HARRY POTTER E IL PRIGIONIERO DI AZKABAN: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life... 

“Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, terzo film tratta dalla saga di romanzi scritti da J. K. Rowlings, è un film coraggioso, che deve accompagnare lo spettatore dall’infanzia ei protagonisti al loro primo accenno di maturità. Harry, Ron ed Hermione non sono più infatti dei semplici bambini come nei primi due film diretti da Crisi Columbus, ma stanno crescendo e per farlo hanno bisogno anche di qualcun altro in cabina di regia. La decisione cade sul messicano Alfonso Cuaròn, che ha già affrontato in altri suoi lavori il travagliato momento del passaggio dalla spensieratezza delle scuole elementari al turbinio interiore delle scuole medie. 

A prima vista cambiano molte cose rispetto a “Harry Potter e le pietra filosofale” e “Harry Potter e la camera dei segreti”. Intanto è cambiato l’attore che interpreta il saggio Albus Silente. La morte improvvisa di Richard Harris, fa scegliere ai produttori di affidare la parte del preside di Hogwarts a Michael Gambon. Certo i cambiamenti (e i miglioramenti) più interessanti non riguardano il cast, ma lo stile con cui è narrato questo episodio. La storia si svolge meno nei meandri del fantasy e più nella realtà, con il piccolo Harry che deve cominciare a fare i conti con il suo difficile passato, venendo a conoscenza di segreti e personaggi a lui finora sconosciuti. 

Il tormento principale del protagonista non è questa volta Voldemort in carne ed ossa, ma gli strascichi emotivi che Harry si porta dentro, anche se il regista non disdegna temi universali che arricchiscono la narrazione: il razzismo, la differenza tra le classi sociali. Sicuramente fino ad ora il miglior lavoro sul maghetto dagli occhiali tondi mai realizzato.

martedì 11 gennaio 2011

BIG FISH - LE STORIE DI UNA VITA INCREDIBILE: RECENSIONE






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Edward Bloom è l'uomo che racconta nelle sue storie. É, infatti, impossibile distinguere l'uomo reale dalla leggenda che si è creato attraverso la narrazione delle sue incredibili avventure. In fin dei conti però non è mai un gran bugiardo, ma solo un grande poeta moderno che riesce a romanzare tutti gli episodi e tutti i personaggi che realmente ha incontrato nel corso della sua vita. Questo è quello che ci racconta Tim Burton nel film “Big Fish – Le storie di una vita incredibile”, lavoro del 2003 ed ultima vera opera d’arte dell’eccentrico regista di Burbank. La pellicola è giocata tutta sullo rapporto labile tre realtà e finzione, per cercare di evadere dalla triste routine quotidiana che solpisce ogni essere umano. Quindi perché non viaggiare attraverso miti e leggende per rendere stupefacente un episodio tristemente incolore? Attraverso una sceneggiatura sempre incalzante e che non abbassa mai la guardia, scopriamo il vero universo burtoniano fatto di mostri, streghe e fate, in cui l’eccezionale cast (Ewan McGregor, Albert Finney, Billy Crudup, Jessica Lange, Helena Bonham Carter, Steve Buscemi, Danny DeVito, Marion Cotillard) può dare il meglio di sé. La vita di Edward è raccontata, attraverso continui flashback, dall’infanzia fino all’età adulta, con un particolare risalto dato al contrastato e contrastante rapporto con il suo unico figlio. Ovviamente immancabile il paragone con il più grande onirico di tutti i tempi: il nostro Federico Fellini. Tim Burton si confronta con le opere più belle del regista riminese, riuscendo a reggere il confronto con il grande maestro italiano. Nella pellicola e in più occasione è richiamato l’universo felliniano, un solo esempio su tutti: le scene del circo. Insomma uno di quei film da vedere e rivedere e assolutamente da non perdere.

mercoledì 5 gennaio 2011

LA STORIA INFINITA: RECENSIONE

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Chi non ha mai desiderato cavalcare con Atreyu o di volare in groppa a Falkor? Ponete questa domanda a tutti quelli nati negli anni ’80 e da pochissimi otterrete una risposta negativa. “La storia infinita” era un must, uno di quei film che hanno accompagnato la strada verso l’età adulta di molti adolescenti occidentali. Uscito in sala nel 1984, la pellicola, tratta dall’omonimo romanzo di Michael Ende, racconta la storia di Bastian un ragazzo che ama moltissimo leggere, tanto da esserne ossessionato. Dopo che il vecchio bibliotecario gli parla di un libro magico, il ragazzino comincia a leggerlo e di colpo si trova in empatia con i magici personaggi che popolano la storia, ritrovandosi inconsapevolmente in una terra, Fantàsia, che ha bisogno di un eroe. Come capita spesso ai best seller diventati poi materia da celluloide, abbiamo due fazioni contrapposte: una che osanna il film e l’altra di denigratori, capeggiata già durante l’uscita in sala della pellicola dallo stesso Ende. Due facce della stessa medaglia, che alimentano il mito e del romanzo e del racconto per immagini. Ma che cos’è “La storia infinita”? Certamente è un decalogo di effetti speciali: il meglio della tecnologia anni ’80 riassunto in 92 minuti. Costato un’enormità, oltre 20 milioni di dollari, il film è una delle produzioni tedesche più costose di tutti i tempi, in cui buoni e cattivi si muovono come se tutta l’azione si svolgesse all’interno di un immenso circo. Perché questo è anche l’effetto che si crea: sembra che l’azione e il ritmo d’avventura debbano spiccare il volo da un momento all’altro, ma si resta sempre fermi, immobili e la conclusione avviene in modo troppo affrettato. A far sognare comunque gli spettatori, oltre alla stellare fotografia, ci pensa la leggendaria colonna sonora, ancora oggi una hit che rievoca paesaggi fantasiosi e magici. Che poi si condivida o meno il messaggio filosofico (può esistere una società senza sogni?), praticamente simile nel romanzo e nel film, questa è un’altra storia, che non deve limitare chi si vuol godere le avventure del piccolo Bastian.

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