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mercoledì 1 agosto 2012

POLLO ALLE PRUGNE: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life... 

Questa volta non è da sola, ma il risultato, quando dietro alla macchina da presa c’è Marjane Satrapi, è garantito. “Poulet aux Prunes” è un incantato film ambientato a Tehran nel 1958 e racconta la storia di un violinista che decide di lasciarsi morire, non riuscendo più a trovare piacere nel suonare dopo che il suo amato violino si rompe. 

L’opera, dunque, ripercorre gli ultimi otto giorni di vita di Nasser Ali su questa Terra, mostrando, abilmente, anche il passato dell’uomo e il futuro degli altri personaggi, con un uso abile e sapiente di analessi e prolessi, che non distrae lo spettatore. Marjane Satrapi dirige insieme a Vincent Paronnaud questa pellicola, destinata sicuramente ad avere successo in tutto il mondo anche dopo questo Festival di Venezia. Del resto quando una sceneggiatura è ben scritta riesce a farti ridere, piangere e riflettere anche solo in un’ora e mezza, lasciando dentro quel buon ricordo che porta lo spettatore a dirsi: “Vorrei rivederlo al più presto!”. 

Si sa, anche una piccola storia può diventare un capolavoro, quando è ben narrata e lascia in bocca un buon sapore. Si tratta di un’opera di rara bellezza, che non ha difetti: ottima regia, ottimo montaggio, ottimi effetti speciali, ottima fotografia e soprattutto un eccellete cast, tra cui spiccano Isabella Rossellini, Chiara Mastroianni e il poliedrico Mathieu Amalric. Il film è tratto dall’onomino fumetto della Satrapi, che però decide di trasformare questa volta i suoi personaggi in carne ed ossa, affidandosi solo poche volte alla sua matita in alcune scene dall’indescrivibile fascino visivo. 

Se in “Persepolis” la disegnatrice ci aveva fatto conoscere la sua storia e aveva lasciato trapelare un barlume di speranza, questa volta si confronta con il tema della morte e del desiderio di suicidio del protagonista, ma la drammaticità dell’azione è smorzata da una sottile ironia, che rende il tutto ancora più godibile. 

martedì 9 novembre 2010

GLI AMORI FOLLI: RECENSIONE


Alain Resnais alla veneranda età di 88 anni continua a divertirsi dietro la macchina da presa. Lo dimostra la sua ultima fatica “Les Herbes Folles”, tradotto come sempre malamente in italiano con il titolo “Gli amori folli”, una tragicommedia che rispecchia, si spera solo in parte, quella che è la società dei nostri giorni. Sono lontani i tempi di “Hiroshima Mon Amour”, ma il regista francese non ha certamente perso smalto, ripuntando ancora una volta sulla accoppiata vincente lui-lei, scegliendo due attori con cui ha avuto modo di lavorare in passato: Sabine Azema (“Parole, parole parole”, “Mélo”, “L’amour à la mort”) e Andrè Dussolier (“Parole, parole parole”, “L’amour à la mort”). Partendo dal romanzo “L’incident” di Christian Gailly, la pellicola narra la storia di Georges che ritrova per caso il portafoglio di Marguerite. L’uomo comincia a perseguitare la donna, importunandola a distanza, con lettere e telefonate. I protagonisti, i personaggi secondari, le azioni, le vicende, i dialoghi, le situazioni, tutto è irragionevole in questo film, come l’erba, la malerba, che cresce nei posti più assurdi, dove nessuno si aspetta, come le crepe di una strada trafficata o in alto su di un tetto di una casa abbandonata. Così si sintetizza il senso filosofico de “Gli amori folli” e forse anche la visione della vita di questo Resnais scanzonato, ma mai (come del resto ci ha abituato) superficiale. Aleggia il mistero del passato e l’incertezza del futuro, raccontati attraverso splendidi dialoghi e i lunghissimi monologhi interiori di Georges, che investono la scena in qualsiasi momento. Una pellicola per chi ama usare l’immaginazione e per chi ha la consapevolezza che per vivere in questi tempi di incertezza bisogna essere semplicemente pazzi. Da sottolineare le trovate geniali a livello di regia: come ad esempio delle zoommate secche, poco utilizzate nel cinema moderno, sul viso dei personaggi o lunghi piano-sequenza seguiti dall’alto, dall’occhio di un dio. C’è anche il tempo per citare molti film che hanno fatto la storia del cinema: quel bacio in un hanger quasi alla fine vi ricorderà sicuramente qualcosa. Questa volta il maestro Alain Resnais gioca, si diverte e non rinuncia alla sua poetica surreale con un finale dal non sense dolce-amaro. Che il regista ormai nel pieno della maturità si sia reso conto di essere una (buona!) erbaccia?

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