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venerdì 1 febbraio 2013

PINOCCHIO - IL FILM DI ENZO D'ALÒ: RECENSIONE


Dalla favola di Pinocchio, il cinema (d’animazione e non) ha attinto da sempre: da Walt Disney nel 1940, passando per la storica serie televisiva Le avventure di Pinocchio, fino alle rivisitazioni in chiave moderna del capolavoro di Carlo Collodi, che, non guasta ricordarlo, è ogni anno uno dei romanzi più letti al mondo. Non stupisce quindi che uno dei disegnatori italiani più attivi, il regista Enzo D’Alò, decida di dare la sua versione della favola, riportando Pinocchio a muoversi ancora una volta sul grande schermo e di nuovo in versione cartone animato.

All’inizio del film l’avvertenza: liberamente ispirato al Pinocchio di Collodi e, effettivamente, la pellicola presentata alla 69esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Settimana della Critica, si discosta qua e là dal romanzo, anche se rimane abbastanza fedele e non si prende le libertà che ad esempio Walt Disney decise di prendersi nella sua versione dell’opera collodiana. Enzo D’Alò punta ad una narrazione semplice con personaggi ben scritti e ben delineati, aiutati nella riuscita del film anche dallo stile inconfondibile dell’autore, che tutti ricordano per La Gabbienella e il Gatto.

A rendere ancora più emozionante il film, ci si mette anche il fatto che si tratta di una delle ultime opere a cui ha lavorato Lucio Dalla, recentemente scomparso. Il cantante bolognese ha infatti prestato la voce ad uno dei personaggi del film, oltre ad aver curato interamente la colonna sonora.

domenica 6 gennaio 2013

POMI D’OTTONE E MANICI DI SCOPA: RECENSIONE


Dopo Mary Poppins c’è forse solo un altro film a tecnica mista che ancora sopravvive nelle feste natalizie di tutto il mondo: Pomi d'ottone e manici di scopa diretto nel 1971 da Robert Stevenson, prodotto dalla Walt Disney Productions e interpretato da Angela Lansbury e David Tomlinson.
Il film si basa in parte sui romanzi scritti durante la Seconda Guerra Mondiale da Mary Norton, ovvero Il magico pomo d'ottone ovvero, come diventare una strega in dieci facili lezioni e Falò e manici di scopa che uniti hanno dato vita a questo originale classico per famiglie. Pomi d'ottone e manici di scopa  racconta un episodio, romanzandolo, uno spiacevole episodio accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il governo britannico aveva deciso di inviare i bambini e i ragazzi di Londra, nelle campagne, lontani dai bombardamenti tedeschi sulla capitale del regno. E proprio così comincia l’azione: tre bambini vengono inviati in campagna ed accolti nella casa di Miss Price, una aspirante strega, che ha deciso di fermare con una magia lo sbarco dei tedeschi sulle coste britanniche. Il film quindi mescola, forse come ancora non era mai successo prima al cinema, fatti realmente accaduti nella storia con fatti assolutamente inventati, che vogliono riscrivere la storia stessa (e il primo film che vi deve venire in mente in questo caso è proprio il finale di Bastardi senza Gloria di Quentin Tarantino).
Pomi d'ottone e manici di scopa, progetto pensato da Walt Disney negli anni ’60 e abbandonato solo dopo essere riuscito a strappare i diritti di Mary Poppins alla scrittrice Pamela Lyndon Travers (a proposito proprio su questo ultimo episodio sta per uscire Saving Mr. Banks!), ha anche vinto un Oscar per i Migliori Effetti Speciali ed in effetti anche dopo anni di distanza è incredibile che cosa siano riusciti a creare le geniali menti della Disney: scope e letti volanti, uomini che si trasformano in animali e quell’incontro dell’animazione con il live action che da troppi anni manca sugli schermi cinematografici di tutto il mondo.
Per quanto riguarda la versione italiana, c’è da dire che Lydia Simoneschi, voce della signora in giallo del piccolo schermo Angela Lansbury, dà al film quel calore familiare che ci si aspetta da un buon film natalizio. Da vedere ed apprezzare, soprattutto da grandi!

lunedì 23 maggio 2011

BEASTLY: RECENSIONE

Postato anche su Film4Life...

Ci vuole coraggio! Riproporre undici anni esatti dopo il capolavoro disneyano le avventure de “La bella e la bestia”, è davvero un’operazione coraggiosa. Purtroppo il risultato è un deludente filmetto per teen-agers innamorate, che nulla ha dell’incanto dei film che lo hanno preceduto sul grande schermo. Del resto questa favola si è sempre prestata con grandi risultati al mondo del cinema da Disney, passando per il regista Jean Cocteau. “Beastly” è una mera operazione commerciale che cerca di sfruttare il fascino di due attori abbastanza conosciuti dal popolo in rosa, il meraviglioso Alex Pettyfer (Io sono il numero quattro) e la ex dame Efron, Vanessa Hudgens. Tratto dal romanzo di Alex Flinn, il film del regista Daniel Barnz, rivisita in chiave moderna e giovanilistica la fiaba scritta nel 1756 da Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. 

Kyle è un giovane newyorkese molto spavaldo che a causa del suo comportamento da bullo subisce un incantesimo, che gli deturpa il volto dandogli sembianze bestiali (ma è poi davvero cos brutto?!?), da una strega, sua coetanea. Il giovane deve cercare di far innamorare una donna di lui, prima che l’albero tatuato sul braccio sfiorisca per sempre. 

Purtroppo nella pellicola tutto è basato sulla bellezza fisica e mancano le caratteristiche e i sottili temi che hanno reso ormai un classico il lungometraggio disneyano del 1991. I personaggi sono effimeri e compiono azioni che non hanno alcuna giustificazione non solo nel mondo irrazionale della sceneggiatura, ma nemmeno nel mondo reale. Si poteva cercare di eliminare la magia dalla storia e ambientarla nelle brutture del nostro mondo, nei sobborghi di Manhattan, dove le bestie vivono davvero. Invece tutto rimane evanescente, dalla recitazione, alla regia, al montaggio, alla colonna sonora. 

Insomma se avete un cervello, più di dodici anni, non siete innamorate/i, vi piace il buon cinema, dovete fare una solo una cosa: evitare di vedere questo film BESTIALE!

mercoledì 26 gennaio 2011

I FANTASTICI VIAGGI DI GULLIVER 3D: RECENSIONE

Postato anche su Filmforlife... 

Rob Letterman e Jack Black tentano, insieme alla 20th Century Fox, un'impresa non indifferente: cercare di attualizzare il romanzo “I fantastici viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift. Per farlo, penseranno i cinefili più accaniti, hanno semplicemente aggiunto al titolo dell'omonima opera settecentesca la parola 3D e il gioco è fatto. Effettivamente ciò che lo spettatore si appresta a vedere al cinema non è molto più di quello che abbiamo scritto sopra, ovvero un tentativo, peraltro fallito, di portare Gulliver nel nuovo Millennio per poi spedirlo a Lilliput che, per qualche strano motivo, si trova nel triangolo delle Bermuda. Ma perché il tentativo è fallito? Semplice: perché Letterman e Black non sono la Disney (vedi “La principessa e il ranocchio” e “Rapunzel”) e, a parte qualche momento comico, il film non decolla mai e resta un'accozzaglia di situazioni semi-divertenti che dovrebbero far ridere e che forse faranno solo sorridere gli spettatori dal palato più rude. Era difficile rendere brutto il bellissimo romanzo fantastico di Swift, eppure Hollywood ce l'ha fatta, puntando tutto sul personaggio di Jack Black, che deve sollazzare a tutti i costi, e rinunciando ad una storia ben strutturata, come invece si dovrebbe sempre fare sul grande schermo. Come molti sanno, le avventure di Gulliver nel romanzo si svolgono in diversi luoghi esotici e magici: ovviamente nel film (e purtroppo non per ragioni di tempo) si predilige il più famoso, Lilliput. Si può trovare qualche elemento apprezzabile in mezzo a tutto questo “putridume” commerciale? Forse... peccato che però si rischierebbe di rovinare, con gli orrendi spoiler, le parti più piacevoli! Una sola annotazione: nello script ci sono delle reinterpretazioni di famose pellicole come “Titanic” e “Guerre stellari”, giusto per citarne qualcuna, e sono proposte note pubblicità con il volto del protagonista; imperdibile ad esempio, sullo sfondo di una scena, il faccione di Black sul fisico di Mark Wahlberg dei tempi che furono. Non aspettatevi un capolavoro nemmeno dal punto di vista della tecnologia: la terza dimensione è assolutamente inutile, se non per l'obiettivo primario di far lievitare il prezzo del biglietto. Insomma quasi certamente un'opera non memorabile e possibilmente da evitare!

giovedì 25 novembre 2010

RAPUNZEL - L'INTRECCIO DELLA TORRE: RECENSIONE

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La Disney convola alle nozze d’oro insieme a “Rapunzel - l’intreccio della torre”, il cinquantesimo capolavoro animato sfornato dagli Studios, fondati dallo zio Walt, ormai quasi cento anni fa. La sera del 21 dicembre 1937, un perfezionista assoluto come Walt Disney realizzava il suo sogno: far debuttare una principessina pallida sul grande schermo. Il suo nome è Biancaneve, la protagonista del primo lungometraggio d’animazione nella storia del cinema. Oggi a distanza di 73 anni la magia, creata da quei fotogrammi, si rinnova grazie ai venti metri di capelli illuminati di Rapunzel. Dopo “La Principessa e il ranocchio”, la Disney re-interpreta un’altra favola classica, riadattando però magnificamente il tutto al gusto moderno, per non deludere le aspettative del pubblico dei nostri tempi. La Disney insomma è tornata a fare la Disney. Non potendo competere con le “cattive” vicende dalla Dreamworks, la storia punta tutto sullo stile fiabesco, come del resto ci si aspetta da uno script disneyano. Rapunzel è infatti un distillato di storia, un omaggio, una celebrazione del cartone Disney, come è anche giusto che sia date le circostanze di festa: 50 lungometraggi vanno festeggiati nel migliore dei modi. E in quest’opera (ri)troviamo tutti i temi tanto cari allo zio Walt. Si parte dal normale passaggio dall’adolescenza all’età adulta, attraverso la costruzione di un’identità, anche sessuale, tramite l’esperienza diretta, l’avventura. Ma non mancano nemmeno la voglia di libertà e soprattutto la ribellione ad una madre nastratrice di perfetta ascendenza disneyana. “Rapunzel” è un’esplosione di avventura e commedia, che non rinuncia alla parte musical, che ha reso la Disney diversa ed unica nel tempo. Nella versione italiana a prestare la voce ai due personaggi principali ci pensano il coriaceo e poliedrico Giampolo Morelli e una straordinaria Laura Chiatti - a cui verrebbe da dire, in linea con la magia del cartone: “Hai trovato la tua strada… non mollare il doppiaggio!” La pellicola realizzata da Nathan Greno e Byron Howard però è anche una rivincita sul 3D, nonostante la maggior parte dei cinema vi proporrà gli occhialetti. Per rivincita sul 3D, intendiamo la vittoria della matita sul computer. “Rapunzel – L’intreccio della torre” sfrutta magnificamente le potenzialità del digitale, però sempre avendo come base la mano umana e tanto olio di gomito. Del resto come non apprezzare l’animazione? Maximus, il cavallo segugio, sembra vero. Infine Rapunzel è Ariel, Quasimodo, Aladdin, Belle, Cenerentola, Biancaneve: insomma la nuova eroina ha dentro sé il background perfetto per permettere agli Studios di affrontare con il giusto ottimismo prima il botteghino e poi il futuro.

lunedì 8 novembre 2010

LA SPADA NELLA ROCCIA: RECENSIONE


La spada nella roccia”, film d’animazione Disney del 1963, narra le vicende dell’adolescenza di Re Artù. Il personaggio storico che nella pellicola è un esile ragazzino di 12 anni, soprannominato Semola, fa lo sguattero e sogna di diventare lo scudiero del fratellastro Caio. Ma il destino opera in modo decisamente bizzarro. E così sulla strada di Semola approda Mago Merlino, vecchio attempato dalla lunga barba bianca, che odia i secoli bui del Medioevo, perché privi delle comodità dell’era moderna, e che cercherà con un particolare percorso di trasformare il ragazzo in un perfetto Re d’Inghilterra. La sceneggiatura s’ispira al romanzo di T.H. White, discostandosene solamente nelle sequenze più divertenti del film, in cui Mago Merlino e il suo gufo parlante Anacleto litigano sul livello di istruzione da dare a Semola. La pellicola ha una struttura prettamente didattica e la morale si riassume facilmente nel detto: “Fai la cosa giusta!”, anche se sei un pesce o uno scoiattolo. Non mancano certamente i cattivi in questa storia soprattutto la “magnifica, splendida Maga Magò”, trasposizione comica della Fata Morgana, che sfiderà Merlino in un duello all’ultimo sangue e con finale a sorpresa. A prestare la voce alla bizzarra maga la bravissima Lydia Simoneschi, voce storica di attrici come Bette Davis, Ingrid Bergman, Donna Reed e soprattutto Vivine Leigh, cioè Rossella O’Hara. Il lieto fine del film non è del tutto scontato, del resto Semola è un ragazzino di appena dodici anni che deve affrontare da solo un futuro troppo grande per le sue gracili ginocchia. Un classico d’animazione immancabile nella collezione degli appassionati Disney, anche perché è uno degli ultimi film a cui partecipò direttamente lo zio Walt.

LA PRINCIPESSA E IL RANOCCHIO: RECENSIONE



Negli anni ’90 non esisteva Natale senza un lungometraggio firmato Walt Disney. “La Principessa e il Ranocchio” catapulta lo spettatore indietro nel tempo e fa rivivere sul grande schermo la magia che lo stesso Walt Disney aveva inaugurato con “Biancaneve e i sette nani”. Questo film d’animazione segna quindi il ritorno ufficiale alle fiabe ed al fascino del disegno a mano. “La Principessa e il ranocchio” è un piccolo capolavoro animato: la miglior risposta che l’“obsoleta” mano dell’uomo potesse dare al 3D. La regia, affidata a due esperti del disegno, Ron Clements e John Musker, creatori de “La Sirenetta” (1989) e “Alladin” (1993), sotto l’occhio attento del guru della Pixar, John Lassent, compie il piccolo miracolo di rivalorizzare una tecnica, il 2D, che sembrava dovesse essere solo ricordata. Certo è che con questa pellicola si ritorna al passato anche per il genere che è stato scelto: il musical. Ci sono ben 7 brani inediti che scandiscono i momenti più importanti dell’azione. La colonna sonora affidata al pluripremiato compositore Randy Newman, è una mistura di sound diversi: dal jazz, al gospel, al blues e alla musica creola delle origini. Aggiungendo al tutto una sceneggiatura sempre ben calibrata e mai banale, che mescola il carisma dei personaggi, con situazioni umoristiche e momenti di grande commozione il risultato è eccellente. Il ritorno di Disney alle fiabe classiche non avviene semplicemente riadattando per il grande schermo “Il principe ranocchio” dei fratelli Grimm. Nella favola originale, infatti, una principessa bacia un brutto e viscido rospo che finisce per trasformarsi in un bellissimo principe e i due si sposano. Nella rivisitazione disneyana cambiano diverse cose. Siamo nel terzo millennio e la narrazione ha subito già delle svolte epocali. La storia non si svolge più in mitici palazzi medievali, con principesse e cavalieri, ma è ambientata nella caotica città del jazz, New Orleans, durante gli anni ‘20. Molti personaggi sono di colore e di colore è anche la splendida protagonista, Tiana, che a dispetto di quello che fa pensare il titolo, è una semplice cameriera, con un grande sogno nel cassetto: aprire un ristorante nella zona portuale della città. Non c’è nessuna principessa, dunque, ma c’è un principe: Naveen, un playboy fannullone, che è rimasto senza un soldo, perché i suoi genitori lo hanno diseredato. È il cattivo a dare il via all’azione vera e propria: l’astuto dottor Facilier, una summa dei malvagi disneyani (quasi inevitabile il raffronto con il longilineo Jafar di Alladin), che servendosi della sua persuasione e della voglia di riscatto di un grasso maggiordomo si servirà dei suoi incantesimi per trasformare il principe in un rospo. Ed è a questo punto che i destini dei due eroi s’incrociano. Ne “La principessa e il ranocchio” gli autori strizzano l’occhio anche nelle scene, nei disegni e nei simboli a classici come “Pinocchio”, “La Bella Addormentata”, o i più recenti “Alladin” ed “Hercules”, scritti e diretti entrambi dalla coppia Clements-Musker. L’animazione permette ai personaggi che si muovono sullo schermo di avere un calore che forse ancora non abbiamo ancora visto nelle storie in 3D con essere umani. Una pellicola che diventerà un classico, con personaggi che rimarranno nella storia del cinema.

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