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giovedì 12 dicembre 2013

C.O.G.: RECENSIONE


Postato anche su Four Magazine... 

Presentato in concorso al Torino Film Festival 2013nella sezione Torino 31, C.O.G. di Kyle Patrick Alvarez è il primo film tratto da uno dei racconti dello scrittore americano David Sedaris. La pellicola racconta l’esperienza vissuta in campagna dal giovane David, appena laureatosi all’università di Yale, che, dopo anni passati sui libri, vuole provare a vivere un’esperienza di vita vera, sporcandosi per la prima volta le mani. Il giovane uomo, vissuto sempre in una cittadina del Connecticut, comincia quindi a confrontarsi e a maturare in un ambiente totalmente diverso a quello a cui è abituato, dove la gente è chiusa nei confronti dello straniero e dove la religione regna e regola le giornate dei suoi abitanti. Si racconta quindi il percorso formativo e di crescita del protagonista, che, dopo questo viaggio cambierà profondamente la sua visione del mondo.
C.O.G., che ha come protagonista l’attore Jonathan Groff, cerca di portare sul grande schermo le suggestioni ironiche, sarcastiche e le situazioni umoristiche che David Sedaris ogni volta regala ai suoi lettori, riuscendoci però solo in parte. L’opera si ferma troppo in superficie e non arriva a raccontare fino in fondo il personaggio principale, l’alter ego dello scrittore, a cui i suoi lettori più accaniti sono ormai affezionati da anni. Il regista sceglie di raccontare la storia solo dal punto di vista dello scrittore, raccontando l’esperienza vissuta, ma commette l’errore di non approfondire troppo i vari personaggi, che ogni volta accompagnano David in ogni sua singola avventura, relegandoli solo a comparse, quando invece dovrebbero (ed è così nei romanzi) essere i veri protagonisti del film. I racconti di Sedaris sono sempre goliardici ed esagerati e in C.O.G., purtroppo, non si coglie nulla di tutto ciò. Chi non ha mai letto nulla dello scrittore rimane spiazzato e anche un po’ confuso, non capendo mai il motivo per cui David è partito all’improvviso per vivere in modo bucolico, perché non torna a casa quando le cose stanno andando per il verso sbagliato e perché non è un fervente credente. Insomma, come dovrebbe essere buona regola del cinema, a volte è meglio lasciare certe storie sulla pagina scritta e non ostinarsi per forza a portarle sul grande schermo (magari proprio per sfruttare la popolarità mondiale dello scrittore). Mediocre!

sabato 1 settembre 2012

THE WEIGHT: RECENSIONE


Film difficile, scioccante, e per palati estremamente raffinati, quello passato al Festival di Venezia, dal titolo The Weight del regista coreano Jeon Kyu-hwan e presentato nella sezione Giornate degli autori. Già solo proponendo un po’ di trama si capisce quanto sia difficile il film del regista coreano. Il protagonista è nato con la gobba e abbandonato in un orfanotrofio, Jung è stato adottato da una donna che lo tiene nascosto in una soffitta e lo usa solo come uno schiavo nel suo negozio d'abbigliamento. La matrigna ha anche un figlio con il quale Jung ha un rapporto di odio e amore. Diventato adulto, Jung lavora presso l'obitorio, con il compito di ricomporre i cadaveri. L’uomo deve prendere medicine in dosi massicce per combattere la tubercolosi e l'artrite, mentre cerca di aiutare il fratello che ha deciso di cambiare sesso.

Basta guardare i tre protagonisti per capire che siamo di fronte ad una rivisitazione in chiave moderna ed in chiave orientale di uno dei romanzi più importanti d’Europa, ovvero Notre Dame de Paris di Victor Hugo. Si tratta di un lavoro delicato, dove non c’è bisogno di tante parole, perché la composizione delle singole scene fanno ritornare alla mente le parole che tutti gli appassionati di cinema si ripetono quando parlano di un grande film, ovvero il “racconto-per-immagini”.

La pellicola, in concorso per il Queer Lion, procede lenta con immagini creunte che possono essere e i cadaveri e le scene di sesso, mostrate senza inibizioni e che ci fanno capire come l’idea di intimità orientale sia avulsa dal nostro mondo e dalla nostra forma mentis. Il mostro, il diverso e la crudeltà del giudizio dell’occhio della persone “normali”, ovvero tutti i temi già trattati nel celebre romanzo di Victor Hugo, sono riproposti anche in The Weight, che riesce a coinvolgere ed emozionare lo spettatore che coglie l’inquietudine e l’angoscia dei personaggi, grazie anche agli sguardi penetranti degli attori protagonisti, che non lasciano indifferenti. Anche il tema dei transgender, molto spesso utilizzato al cinema solo per il suo lato “funny”, mentre Jeon Kyu-hwan vuole riportarlo il tutto sul lato umano, riuscendo a mostrare la tragicità di chi non si sente inadeguato ogni singolo istante della sua vita perché vive in prigione. Ed in prigione in effetti vivono tutti i personaggi della storia, che vorrebbero fuggire da loro stessi, ma che non ci riescono, se non nella immobilità della morte, proprio perché liberi finalmente da se stessi.

Certamente non sentirete molto parlare in giro di The Weight, vincitore tra l'altro Queer Lion, ma qualora vi siate imbattuti in questo articolo, il consiglio è quello di cercarlo da qualche parte (STREAMING!!!) e di vederlo.

martedì 1 maggio 2012

KEEP THE LIGHTS ON: RECENSIONE


Keep the Lights on”, presentato ieri in concorso al 27 Torino GLBT Film Festival, è il film che ha vinto il premio Teddy Award, riservato alla miglior pellicola a tematica gay, alla Berlinale del 2012. Applaudito a Berlino, il film di Ira Sachs, con protagonisti Thure Lindhardt, già visto nel capolavoro “Brotherhood”, e Zachary Booth, presente ieri sera a Torino, racconta la storia di Erik e Paul, conosciutisi per caso in una linea telefonica erotica, che si concedono una notte di sesso sfrenato. Quella che però doveva essere solo l’avventura di una notte si trasforma immediatamente in una affinità che porterà i protagonisti a scontrarsi con le proprie ossessioni. Sì, perché Ira Sachs, già vincitore del Sundance nel 2005 con “Forty Shade of Blue”, questa volta indaga sull’ossessione degli esseri umani.

Prendendo come spunto un trentenne che sogna di fare il regista, facendosi finanziare i film dal papà, e un giovane editor di successo, il regista di “Keep the Light on” porta a galla tutte le manie dei protagonista, con uno sguardo impietoso e mai indulgente. I tormenti continui di Erik e Paul sono raccontanti in un arco di tempo molto lungo, in una New York prima dell’ 11 settembre 2001 (la storia comincia nel 1998) fino al 2006, con intervalli di tempo di circa due anni tra un episodio ed un altro. Tutti sembrano ossessionati: Erik è ossessionato da Paul, Paul è ossessionato dalla droga e la loro relazione all’inzio così stabile diventa sempre più incerta. Consapevoli di farsi del male a vicenda, il film racconta di come, nella società moderna, nessuno voglia essere felice, rifiutando la serenità anche quando le si presenti più volte davanti.

Tra le pecche del film si possono citare delle lunghissime e forse inutili sequenze che avrebbero certamente reso più snella e coinvolgente la narrazione. Sachs comunque riesce comunque a raccontare una storia moderna, di sesso, con sguardo lucido e disincantato. 

mercoledì 25 aprile 2012

A NOVELA DAS 8: RECENSIONE


Finalmente abbiamo scoperto nella 27esima edizione del Torino Glbt Film Festival un film, prima di tutto bello, e che può essere distribuito in Italia: “A novela das 8” di Odilon Rocha. La pellicola, con marchio Universal che capeggia all’inizio, racconta i terribili giorni del Brasile nell’anno 1978 quando imperversava ancora la dittatura militare e la libertà democratica era solo un miraggio. Nonostante però la repressione politica, proprio in quei momenti drammatici, il paese si ritrova investito dalla febbre del sabato sera che sta dilagando in tutto il mondo grazie al telefilm delle 8, cioè la soap opera delle 20:00, ambientata in una discoteca di Rio De Janeiro e che porta il nome di “Dancin’ Days”.

In questo clima di oppressione, si muovono i personaggi del film: Dora, una donna in fuga da se stessa; una prostituta che per colpa di Dora si ritrova coinvolta in un intrigo da rivoluzionaria, pur non capendo nulla; un feroce poliziotto, voglioso di mantenere lo status quo e annientare le ideologie comunista; un diciassettenne gay, che vive con i nonni e che ha voglia di scoprire il mondo; un diplomatico dell’ONU che scopre la sua omosessualità ritornando a casa, dopo aver vissuto anni a Londra. Le storie di questi uomini e queste donne si intrecceranno, anche grazie ad una sceneggiatura abilmente scritta e che procede ben spedita verso la risoluzione finale.

“A novela Das 8”, vincitrice tra l’altro del premio come Miglior Film al Festival di Rio De Janeiro nel 2001, è un intenso melodramma che mescola con furbizia comicità e tragedia, anzi forse le battute migliori del film, quelle che hanno strappato risa e applausi in sala, accadono proprio quando dovrebbero esserci solo le lacrime. Il film vuole essere - e ci riesce anche abbastanza bene – un omaggio alla libertà dell’uomo, che può e deve sempre scegliere cosa essere e cosa fare della propria vita. Che sia proprio questo il film vincitore del Torino GLBT Film Festival “Da Sodoma a Hollywood”? In questo momento ce lo si deve augurare!

martedì 24 aprile 2012

PRIVATE ROMEO: RECENSIONE


Romeo e Giulietta rivivono ancora una volta in questa 27esima edizione del Torino GLBT Film Festival. La storia, già vista nel cortometraggio “Verona” (di cui si consiglia caldamente la visione a tutti gli amanti del buon cinema, viene riproposta anche in “Private Romeo” di Alan Brown e anche in questo lavoro i due protagonisti sono due ragazzi gay. La storia si svolge in estate in una accademia militare deserta, abitata solo da otto cadetti, che cominciano a leggere per gioco la tragedia shakespeariana. La lettura diventa però per loro una vera e propria ossessione: prima si dividono in due gruppi, come i Montecchi e i Capuleti, e poi, quando tra Glenn e Sam scoppierà la passione amorosa, tutto si svolgerà esattamente come nel dramma di Shakespeare.

Il film ripropone interi brani della celeberrima opera teatrale; i protagonisti di “Private Romeo” infatti recitano, quando si incontrano, interi spezzoni tratti proprio da “Romeo e Giulietta”, mostrando quanto sia letteralmente assillati dall’opera. La pellicola di Brown potrebbe essere anche considerata originale, se non fosse che di questo tipo di lavori, soprattutto sull’opera shakespeariana, il cinema di tutto il mondo è realmente saturo. In questa nuova versione alla fine non si aggiunge nulla di nuovo e l’unica cosa che cambia è forse il finale, in cui il regista non riesce assolutamente a portare fino in fondo e con cattiveria le sue intenzioni. Si distingue un ottimo cast di attori che riesce comunque a far dimenticare tutto ciò che potrebbe risultare noioso. 

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