giovedì 6 dicembre 2012

THE LIABILITY: RECENSIONE


Ritorna a Torino, e di nuovo in concorso, il regista britannico Craig Viveiros, che presenta il suo terzo film da regista The Liability. Dopo avere partecipato l'anno scorso al Torino Film Festival con Ghosted, film carcerario, e dopo l'onirico Lost in Italy, il regista torna sul grande schermo con un noir a tinte pulp, dove si tenta di trovare uno spiraglio di speranza, in una storia in cui c'è poco da sperare.

Il film inizia con un diciannovenne che viene spedito dal malavitoso patrigno a fare da autista ad un sicario silenzioso, famoso per essere meticoloso nel suo lavoro di assassino. L'intento del patrigno è chiaro: far imparare al giovane i rudimenti del mestiere, in una sorta di Training Day alla rovescia. Sì, perché come si può ben immaginare il giovanotto non deve imparare a servire la legge, ma a sfuggirle, diventando magari un giorno un malavitoso. La pellicola, scritta da John Wrathall, subisce una svolta quando una donna irrompe sulla scena, deviando il racconto su binari inattesi per lo spettatore.

Si tratta di un film di poche parole, dove finalmente si ritrova il gusto di quello che è il cinema, ovvero racconto per immagini, considerando anche che l'imperturbabile killer, interpretato da uno straordinario Tim Roth, è laconico di battute, oltre che di insegnamenti. The Liability è un'opera crepuscolare, dalle atmosfere malinconiche, che trova la sua forza soprattutto in un ottimo black humor, in perfetto stile britannico, che piacerà molto a chi ama scherzare con la morte.

L'opera pecca sul finale: troppo speranzoso, per personaggi e luoghi che sembrano non avere mai, durante la diegesi del racconto, la possibilità di salvarsi.  

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