giovedì 6 dicembre 2012

DIMMI CHE DESTINO AVRÒ: RECENSIONE


Dimmi che destino avrò di Peter Marcias è un film di difficile collocazione. È certamente un film drammatico, ma a tratti è anche un documentario, ma con una svolta anche al romanticismo. Il presunto rapimento di una rom in un campo nomadi a Cagliari, sono il pretesto utilizzato dal regista per raccontarci la storia di un commissario di polizia, un uomo disilluso, che si deve confrontare a causa di questa indagine con un mondo totalmente differente dal suo. L'uomo, per muoversi nelle indagini, conosce Alina, la sorella del presunto rapitore, una rom sui generis che vive e che ha un lavoro a Parigi, costretta a ritornare a casa sua in Sardegna per aiutare i genitore a ritrovare il fratello, scomparso e accusato del rapimento.

Dimmi che destino avrò è un film particolare, soprattuto nel piatto panorama italiano, che appunto nel suo modo di raccontare realtà diverse, presenta perfino un carattere documentaristico, con un approfondimento sulla realtà rom italiana, rivelando un assioma semplice, ma che molto spesso ci si dimentica: la voglia di avere un posto da chiamare casa.

Nel film si intrecciano, oltre che due mondi totalmente differenti, anche una critica alla nostra società e Dimmi che destino avrò arriva proprio al Torino Film Festival in un momento particolare per il nostro paese, dato che l'Unicef ha chiesto proprio all'Italia di riconoscere la cittadinanza italiana a tutti i bambini che nascono nel nostro paese. Sì, perché quello che lamentano, almeno nella parte più documentaristica del film (tra l'altro la parte più interessante!) i personaggi è proprio l'impossibilità di sentirsi italiani, nonostante vi siano nati. La parte narrativa è quella che ha le maggiori pecche, soprattutto quando ci si addentra nel difficile campo dei sentimenti. Si tratta comunque di un progetto coraggioso, che fa bene al nostro cinema.  

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