lunedì 26 novembre 2012

CALL GIRL: RECENSIONE


Negli ultimi anni, anche grazie al successo planetario dei libri di Stieg Larsson, il mondo dell'arte, cinema compreso, ha cominciato a guardare con interesse crescente alle opere provenienti dalla Svezia. Call Girl, film del regista Mikael Marcimain, che partecipa in concorso al Torino film Festival, racconta una storia vera accaduta a Stoccolma nel 1976. Le protagoniste sono due quattordicenni ospiti di un istituto per minori, che si ritrovano reclutate in un giro di prostituzione frequentato soprattutto da politici e diplomatici. Coinvolgente ed emozionante, Call Girl rapisce lo spettatore e, sapere che si tratta di fatti realmente accaduti, crea subito empatia con le protagoniste della triste e drammatica vicenda.

All'epoca in cui tutte le discoteche del mondo suonavano gli ABBA, Iris e Sonja sono attratte dalla perdizione e si lasciano trasportare all'inferno da Dagmar, maitresse interpretata da una eccellente Pernilla August, attraverso il sesso facile con uomini che donano loro stupendi regali, oltre che l'immancabile remunerazione per la loro prestazione sessuale. Dagmar diventa quindi per Iris e Sonja una madre, amorevole per certi aspetti, ma che non esita a vendere ai suoi clienti le due ragazze.

Il film racconta quindi un dramma personale, ma pone l'accento anche sul thriller politico, dato che il regista Marcimain guarda, senza nemmeno nasconderlo troppo, alle atmosfere del recente film La Talpa, a cui ha lavorato come aiuto-regia. Ma a differenza de La Talpa in Call Girl, dove gli uomini politici sono tutti sporchi, lo sguardo nella narrazione è posto principalmente sulla vicenda personale di queste due ragazze che a poco a poco si sentono a disagio, nel loro nuovo ruolo di prostitute e, l'iniziale eccitazione per questo “gioco”, lascia presto spazio alle inquietudine e alla voglia di lasciarsi tutto alle spalle.

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