giovedì 11 novembre 2010

QUARTIER LOINTAIN: RECENSIONE

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Alzi la mano chi non ha (o avrebbe) voglia di tornare indietro nel tempo, con la maturità acquisita nel corso degli anni, ai propri 14 anni per cambiare il corso della sua vita. È questo ciò che succede a Thomas, fumettista di successo, protagonista di “Quartier Lointain”, presentato al Festival Internazionale del Film di Roma, nella seziona Alice nella città. Si tratta di un viaggio nel passato, ance se lontano anni luce dalle favolose avventure di Marty McFly. Infatti il cinquantenne Thomas si ritrova nel suo corpo adolescenziale dopo essere svenuto al cimitero, davanti alla tomba della madre. Ritornato ragazzo negli anni Sessanta, l’uomo ha l’occasione (senza voler svelare troppo della trama) di sistemare quel passato, che turba il suo presente. Sam Garbarski torna dietro la macchina da presa affidandosi quindi ad una storia a fumetti, riproponendo in salsa francese il manga di Jirô Taniguchi “Harukana Machi’e”, in italiano “In una lontana città”. Quello che si apprezza del film è tutta la delicatezza della narrazione, in cui non ci si abbandona mai al patetico, al sentimentale, alla pornografia delle emozioni. Il regista/sceneggiatore indugia molto sugli aspetti comici e paradossali della vicenda, regalando allo spettatore una risata, a volte dolce a volte amara. L’antinomia del personaggio sta tutta nel fatto di essere un uomo maturo - più saggio per certi versi dei suoi stessi genitori, dei suoi stessi insegnati – nel corpo di un gracile ragazzino (e segnatevi il nome di Léo LeGrande), che cerca di rispondere alla domanda che tutti noi ci siamo posti almeno una volta nella vita: “Tornando nel passato, posso cambiare la mia vita?”. Ovviamente lui trae il suo epilogo ed ogni singolo spettatore trarrà la sua morale finale. Uno sguardo approfondito sulle inquadrature, permette di notare come siano ben studiate ed articolate in modo tale da ricordare ed omaggiare lo splendido ed incantato mondo dei fumetti made in Japan. Infine “Quartier Lointain” è un ottimo esempio di quello che si dovrebbe sempre fare al cinema: mescolanza sapiente di dramma personale in quella che è la commedia dell’umanità.

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