mercoledì 26 dicembre 2012

KIBOU NO KUBI (THE LAND OF HOPE): RECENSIONE


In Giappone, dopo il disastro di Fukushima del marzo 2011, si interroga se è necessario o meno spegnere tutti i reattori nucleari del paese. Ed era normale quindi che un autore come Sion Sono si occupasse della faccenda nel suo ultimo lavoro Kibou No Kubi/ The Land of Hope, ovvero La terra della speranza, presentato al Festival di Torino 2012.

Dopo averci raccontato i reietti del terremoto nel suo Himizu, ecco che il regista si addentra in un campo molto più delicato che inevitabilmente interessa anche la politica e il modo in cui i media raccontano alla gente i disastri.

La famiglia Ono vive in pace nella sua piccola fattoria a Nagashima, vivendo dei prodotti della terra e dell'allevamento. Un giorno, un terremoto fa esplodere il reattore della vicina centrale nucleare e tutti gli abitanti sono costretti all’evacuazione. Il film quindi segue le avventure di tre coppie legate da rapporti di sangue: i due anziani coniugi Ono, che non hanno intenzione di abbandonare la loro casa, nonostante si trovi sul confine che demarca la zona radioattiva; loro figlio, che abbandona, costretto dal padre, la casa dove è nato, insieme alla moglie, che sta aspettando un bambino e che è ossessionata che le radiazioni possano compromettere il feto; infine Mitsuru, vicino di casa degli Ono, che insieme alla sua giovane fidanzata si reca alla ricerca dei genitori di quest'ultima, spazzati via, insieme a tutto il resto, dallo tsunami generato dal terremoto.

Insomma Sion Sono si inventa un terremoto per raccontare le conseguenze che ha avuto sulla società il disastro nucleare di Fukushima, ambientando però la sua storia in un'altra prefettura e immaginando che cosa potrebbe succedere se esplodesse un'altra centrale nucleare in Giappone. Il regista però nel suo racconto non si avvale di nessun effetto speciale e quello che gli importa mostra al suo spettare è solo il modo in cui l'essere umano affronta problemi esterni, quando la vita è scossa da cause di forza maggiore. Ecco che quindi, con uno stile intimistico e sofferto, accompagnata da una musica che crea suspence, Sion Son ci mostra come cambiano anche i legami umani. Il lavoro del regista giapponese è quindi una metafora anche sulla separazione forzata di una famiglia, che viene mostrata come divisi dagli stessi paletti che chiudono la zona radioattiva dalla zona con “aria salubre”.

Non è un caso che la sezione in cui sia stato inserito Kibou No Kubi/ The Land of Hope in questo 30TFF sia Rapporto Confidenziale, dato che quest'anno gli organizzatori della kermesse torinese hanno proprio deciso di dare come sottotitolo a questa sezione Ossessioni&Possessioni e nella pellicola di Sion Sono troviamo entrambi gli elementi: ossessione della radiottività, ossessione/possessione per i legami familiari, la terra natìa, ossessione dei media a raccontare un mondo perfetto nonostante non sia così...

La pellicola però si chiude con un minimo di speranza, forse anche per il carattere forte e determinato che è intrinseco nella società giapponese. Infatti i personaggi (almeno i giovani) non si arrendono mai e fino alla fine continua a guardare al futuro 一歩, ovvero un passo alla volta.

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