mercoledì 25 maggio 2011

IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA: RECENSIONE

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Presentato in concorso al 64esimo festival di Cannes, “Il ragazzo con la bicicletta” è l’ultima fatica dei fratelli Dardenne, i signori della Palma d’Oro, avendone vinte già due: la prima nel 1999 con “Rosetta” e la seconda nel 2005 con “L’enfant”. Purtroppo con questo loro ultimo lavoro i due fratelli belgi deludono il proprio pubblico e non riusciranno ad incrementare i loro fan, considerando che siamo molto lontani dai fasti delle loro opere migliori, quelle che vale veramente la pena di vedere. 

“Il ragazzo con la bicicletta” è un film svogliato, sciatto, piatto, con una sceneggiatura che possiamo considerare al pari di un percorso di ciclocross (per restare in tema due ruote): piena di buche, con discese troppo ripidi e salti troppo pericolosi. Le vicende, simil-drammatiche, di un ragazzino violento e problematico, Cyril, di 12 anni, abbandonato dal padre, e della parrucchiera, interpretata da Cècile di France, che cerca di aiutarlo, non entusiasmano e, anzi, la risata nei momenti di massima tensione è inevitabile. Il motivo principale? I personaggi. Non sappiamo e non comprendiamo nulla di loro dall’inizio fino alla fine: perché si comportano così?, perché hanno certi atteggiamenti?, e altre domande che lo spettatore dovrebbe colmare da sé. Va bene che lasciare libera interpretazione al pubblico è (quasi) sempre un’ottima scelta, ma forse cercare di indirizzarlo verso almeno un unico messaggio principale non sarebbe un male. È forse perché la sceneggiatura non è all’altezza dei precedenti lavori che il bravissimo Jérémie Renier, attore feticcio dei Dardenne, ha accettato solo di comparire in un ruolo minore? 

In questa pellicola i Dardenne appaiono senza cattiveria e con un’idea del mondo anacronistica e fin troppo buonista. È mancato un po’ di coraggio in più per salvare nel finale questa accozzaglia di scene girate male (escluso un piano sequenza con i due protagonisti sulla bici), con dialoghi poco taglienti e per la maggior parte delle volte anche evitabili. È come se in questa storia i registi abbiano preferito raccontarci le cose inutili, senza entrare davvero nella psicologia dei personaggi, come invece sono soliti fare.

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